Al fin ci siamo. Questa brutta campagna elettorale finisce: la più brutta di tutte, per carica di livore, di personalismi, di presunti scheletri in presunti armadi, di ferite date e subite in cinque anni di legislatura; ma anche con logoramenti e tensioni di quelli precedenti.
Speriamo finisca anche l’era di questa legge elettorale che ha le caratteristiche di eliminare candidati e territorio in un rapporto diretto tra la leadership ed il cittadino elettore. [//]
Molti dicono che verrà cambiata presto ma molti altri ne dubitano, visto che consente a pochissimi capi di partito addirittura di “nominare” il Parlamento. Nonostante tutti questi limiti alcune cose importanti sono peraltro emerse: le caratteristiche dei due schieramenti, i livelli di omogeneità interna, i loro retroterra programmatici, le contraddizioni e le prospettive possibili.
La campagna elettorale ha fatto anche giustizia di tanti argomenti che hanno drammatizzato la legislatura. Non abbiamo avuto eco degli esiti “letali” di leggi descritte al tempo come creatrice di disordine sociale, ad personam e quant’altro. Dove sono finite le vaticinazioni disastrose sulla legge delle revocatorie internazionali, sulla Cirami, sull’ordinamento della magistratura, sul falso in bilancio e quanto altro?
Sembra che dopo cinque anni di tragedia sia improvvisamente cambiato lo spettacolo. Il Presidente dell’Unione europea appare, o torna ad apparire, come un “buon curato di campagna” ed il Presidente del Consiglio riappare in tutta la forza del “Cavalier fendente”. In qualche modo si passa dalla tragedia alla commedia, con qualche interruzione da avanspettacolo, causata o casuale che sia. Ora, dopo inevitabili esagerazioni e bluff da partita di poker, siamo al momento del “vedo”. Chiusi i sondaggi, peraltro sempre peggio percepiti e ritenuti poco affidabili, resta l’antica tecnica del “nasometro” di democristiana memoria. Questa tecnica, ormai desueta nei nuovi politici, è basata sulla capacità di percepire i cangianti umori dell’opinione pubblica, dei nostri vicini, del nostro bottegaio, del taxista, dell’artigiano. Ora essa ci fa sentire un forte clima di rimonta da parte della Casa delle libertà.
È essa frutto delle due proposte, entrambe di assai difficile realizzazione, ed equivalenti quanto a valore finanziario, della riduzione del cuneo fiscale e della abolizione dell’imposta comunale sugli immobili? Credo proprio di no. La ragione sta più nel fatto che, vedendoli più del vicino, gli elettori percepiscono, a torto o a ragione, gli elementi di rischio, le propensioni stataliste, le volontà fiscali, le opzioni sociali.
Prodi ci ha messo del suo con la definizione del “livello di ricchezza” esentabile, dimostrando il suo entroterra politico ed evidenziando che quella legge sulle successioni non era utile solo ai ricchi, che se la cavano da soli, ma del ceto medio.
Così facendo ha ricordato agli italiani che si, le cose non vanno bene, ma che larga parte della popolazione possiede casa e la “miseria” nel paese è prevalentemente una “sinistra” raffigurazione, pur se certo non ci mancano i problemi.
Se fosse vero che le forze sono quasi alla pari, le opportunità nell’area moderata della casa delle libertà aumenterebbero nell’area degli indecisi e degli astensionisti. Questo perché, se non vi sono forti emozioni immediate e congiunturali, (come gli attentati in Spagna che hanno determinato la vittoria imprevedibile di Zapatatero), al momento del voto prevalgono la logica del male minore, del non rischio, della maggiore stabilità e, perché no?, della minore pressione fiscale.
Questa consapevolezza appariva chiarissima nei visi preoccupati di Fassino e Rutelli nel confronto con Casini e Fini nella trasmissione di Ballarò.
Non è che, dopo una campagna così dura, “l’orgogliosa sicurezza” delle truppe di Prodi finisca come “la gioiosa macchina da guerra” del politicamente scomparso Achille Occhetto?
Una cosa però è certa: dopo questi eventi, questa pesante campagna elettorale: chiunque vinca si troverà di fronte un Paese da recuperare alla normalità politica, all’interesse nazionale, alla ragionevolezza, ad un sistema politico più serio, ad una classe dirigente meno improvvisata. Bisognerà anche tornare ad una più vissuta democrazia.
Cioè al popolo sovrano e non un suddito, non solo dei politici ma sopratutto dei veri poteri, quelli finanziari e bancari, della stampa da loro posseduta, degli speculatori e delle mafie con o senza cravatta, dei furbetti del quartierino e dei furboni dei palazzi. Si deve ricominciare da capo? Forse sì, ma con attrezzi, progetti e personale rinnovati, se non altro dalle esperienze che abbiamo vissuto. Toccherà a chi vince, Berlusconi o Prodi, di creare le condizioni per questo.
Affinché in futuro si abbiano scelte elettorali più libere e consapevoli. Vedremo se la scelta degli elettori, spia della loro imponderabile saggezza, consentirà tale soluzione.
L’Adige, 8 Aprile 2006, pagg. 1 e 2