I dati pubblicati da Unioncamere-Movimprese sulla nati-mortalità dell’artigianato nel primo trimestre del 2006 denunciano un preoccupante calo. Se nel Veneto il dato delle imprese artigiane che hanno cessato la propria attività in questi primi mesi dell’anno si attesta a -1,33% (pari a 1.959 imprese artigiane), Verona raggiunge un valore ancora più basso, -1,88% (pari a 1.101 imprese); posizione assai negativa se confrontata con la media nazionale di -0,55%. Il Veneto ha ottenuto il secondo peggior risultato di tutte le regioni d’Italia sia in termini assoluti che in termini percentuali. [//]
«La nostra associazione – commenta Ferdinando Albini, presidente di Confartigianato Verona – sta lanciando messaggi di allarme sulla forte crisi del settore e questi risultati confermano ciò che andiamo dicendo da alcuni anni». Tra i fattori ai quali imputare questo risultato negativo un primo è di natura più tecnica, vale a dire che nel primo trimestre di ogni anno si registra la maggior parte delle chiusure effettuata intorno alla fine del precedente anno. Ma a questo fattore se ne aggiungono altri di natura più economica, direttamente collegati alla crisi che stanno vivendo alcuni settori produttivi, che risultano pesantemente coinvolti nei processi di delocalizzazione da un lato e di aggressione da parte dei manufatti “low cost” dall’altro.
Nei risultati dell’indagine Unioncamere-Movimprese i settori maggiormente colpiti sono quello manifatturiero, nelle sue aree di attività che vanno dal calzaturiero (-2,10%) al tessile (-1,83%) e abbigliamento (-2,59%), dal mobile (-2,97%) all’industria del legno (-1,82%), dalla produzione dei metalli (-6,67%) alla lavorazione dei minerali (-1,05%), nonché il settore estrattivo (-3,33%) e il comparto della fabbricazione di macchine e apparecchiature elettroniche (-3,85%) e delle telecomunicazioni (-7,89%).
«In generale – prosegue Albini – questi comparti produttivi artigiani risultano particolarmente penalizzati da una fase di mercato negativa, in un momento di vita d’impresa in cui si devono affrontare, troppo spesso senza sostegno, onerosi processi di riconversione e di riqualificazione produttiva sia dal punto di vista economico che di risorse interne alle aziende».
Presidente, la chiusura di tante aziende artigiane in alcuni settori di eccellenza preoccupa non poco…
Sicuramente alcuni settori sono drammaticamente in crisi da alcuni anni, basti pensare a quello calzaturiero. Il nostro sistema artigianale produttivo era particolarmente fiorente e sviluppato attorno all’indotto dei grandi produttori. Le aziende artigiane infatti, lavoravano come subfornitori dei produttori di calzature e il fenomeno della delocalizzazione produttiva da parte di grandi aziende verso Romania, Cina e Vietnam stanno facendo chiudere tutti i piccoli laboratori, che avevano una tradizione e una qualità produttiva senza eguali.
Stesse motivazioni per la crisi che sta investendo anche il comparto del tessile e abbigliamento?
Un’altra attività in crisi, che ritengo irreversibile se non si fa leva sulla qualità, è il settore del tessile e abbigliamento. I nostri laboratori artigiani che lavoravano in subfornitura alle grandi aziende sono ormai attaccati da quelli cinesi, che operano non solo il madre patria ma che sono venuti da noi a produrre a prezzi bassissimi, con qualità inferiore e con un rapporto di qualità della vita e delle condizioni dei lavoratori allarmante. La ragione della crisi dei nostri artigiani è anche in questo caso da imputare alla delocalizzazione delle subforniture che di “rifinitura” delle grandi aziende della moda.
E il comparto del mobile, tradizionalmente eccellenza della nostra provincia?
Nel settore del mobile, nonostante una situazione non brillante, siamo molto fiduciosi. Le nostre maestranza sono molto preparate e competenti, rispetto alla concorrenza cinese, indonesiana o filippina, dove i mobili sono di bassa qualità. Per il mobile siamo anche riusciti ad ottenere dal Ministero delle Attività Produttive e da quello delle Finanze un occhio di riguardo sullo studio di settore, nonché sul marchio del mobile della pianura veronese. Inoltre, è nato anche il distretto del legno che dovrebbe aiutare le piccole aziende per unirsi per cercare di andare sui mercati esteri con una massa critica sufficiente per sostenere la competizione.
Come associazione, l’Upa che segnali riceve dalle aziende artigiane?
In una congiuntura di mercato così difficile come quella in cui stiamo vivendo, la nostra associazione ha registrato un importante aumento del numero degli associati. Ritengo che questo sia un segnale chiaro di come stia tornando piena fiducia da parte delle aziende nei confronti delle associazioni di categoria. Da un altro punto di vista questo ci investe di ulteriori responsabilità nel sostenere in modo corale l’impegno per uno sviluppo comune delle attività produttive.
Cosa chiedono le aziende artigiane veronesi?
Ci sono delle richieste e dei problemi nazionali che si ripercuotono a livello locale. Innanzitutto c’è un forte problema energetico, sia dal punto di vista dell’approvvigionamento che dei costi che stanno gravando sulle aziende. Da una parte è giusto sensibilizzare le aziende nella ricerca di fonti energetiche alternative e rinnovabili, dall’altra un pensiero al nucleare ritengo che sia ora di farlo a livello nazionale. Non è pensabile una dipendenza energetica dai paesi esteri così come quella attuale, che rischia di penalizzare le aziende e il sistema economico nel suo complesso. Dall’altra parte i continui aumenti dei costi energetici stanno incidendo non poco nella vita economica delle nostre aziende. Pagare l’energia oltre il 35% in più rispetto ad altri paesi limita le aziende e le rende meno competitive nell’arena economica globale.
Un altro problema, che si trasforma in una richiesta da parte delle piccole realtà artigiane, è quello delle infrastrutture di trasporto. Il sistema italiano non è dotato di una rete di trasporti adeguata a sostenere la crescita delle aziende. Soprattutto a livello di costi il trasporto sta incidendo negativamente sulla crescita delle piccole realtà artigiane. È necessaria una politica di governo nazionale che preveda una pianificazione ad ampio respiro.
Sul fronte dell’innovazione che tipo di rapporto c’è tra artigiani e le nuove tecnologie?
A livello infrastrutturale il Nordest deve avere un migliore sistema di reti per dotare tutte le aziende con le nuove tecnologie per le telecomunicazioni, che da una parte possono portare un miglioramento dell’efficienza della comunicazione tra azienda e mercato, dall’altra possono aiutare nel ridurre i costi. La nostra categoria è molto ricettiva verso le nuove tecnologie e ne sono una prova i successi dei bandi promossi dalla Camera di Commercio per sostenere le aziende che si vogliono dotare di strumenti di alta tecnologia.
Quali sono le attività che state programmando per rilanciare la categoria? Ci sono voci che stiate progettando un polo aggregato per gli artigiani…
Come Confartigianato Verona, congiuntamente con le altre associazioni artigiane, abbiamo in progetto di creare una cittadella dell’artigianato. Sfruttando le opportunità che vengono dal nuovo Piano di assetto territoriale, vogliamo dare uno spazio in cui innestare dei “moduli” per consentire a gruppi di aziende artigiane di unirsi. L’idea è quella di offrire loro dei servizi efficienti per la gestione delle loro aziende che, se condivisi, consentono allo stesso tempo una forte riduzione di costi. Stiamo parlando di servizi come unico centralino, unica potente infrastruttura tecnologica, magari un unico ufficio tributario interno e un ufficio paghe condiviso. Unica mensa e con lo stesso modello altri servizi che solitamente sono prerogativa di grandi aziende. Di questo progetto ne stiamo parlando in questi giorni stiamo parlando anche con l’amministrazione comunale. Siamo fiduciosi di riuscire a trovare un’intesa.

L’Adige, 6 Maggio 2006, pagg. 1 e 6