Una Confindustria in mano ai soliti noti, e un governo a rischio. Pino Bisazza è un imprenditore che le cose non le manda certo a dire. Si definisce un reazionario, abituato ad andare dalla parte che ritiene sia quella giusta anche se contro corrente. [//]
Nella sua vita professionale, l’ex Presidente degli industriali vicentini lo ha dimostrato nel 2000, quando lasciò presidenza (e azioni) dell’azienda di famiglia, la Bisazza dei mosaici, per fondare assieme ad un gruppo di manager la Trend. Dopo cinque anni la sua creatura è un gruppo che fattura oltre 120 milioni euro, una villa palladiana come sede firmata da Alessandro Mendini, con filiali estere nei mercati chiave e una gamma di prodotti che non si limita al mosaico in vetro. Suo l’appello pre-elettorale a favore del centro-destra, che ha rotto uno scomodo muro di silenzio confindustriale attorno alle necessità degli imprenditori veneti.
Bisazza, le sue dichiarazioni sulle paure delle imprese venete hanno fatto il giro d’Italia. Cosa ne pensa?
Nella mia vita pubblica, fin da quando ho iniziato ad avere cariche, ho sempre espresso molto liberamente il mio pensiero. Non mi sono mai trincerato dietro silenzi o opportunismi. Non mi nascondo e non mi piace l’atteggiamento di molti, anche imprenditori di centro-destra, che sembrano avere paura di dichiarare la propria appartenenza per timore di essere elusi da certi salotti. Certo, Berlusconi non ha fatto tutto ciò che aveva promesso, di certo poteva fare di più, che questo sia dovuto a condizionamenti degli alleati o meno non lo so, ma sicuramente è uno che si è dato da fare.
A suo avviso Confindustra è stata ed è super-partes?
La scelta pre-elettorale di Confindustria di essere super-partes è stata doverosa pienamente condivisibile. Ma questa Confindustria non è al di sopra delle parti, è orientata, come molte parte della stampa ad essa legata. Noi come imprenditori, come categoria, dobbiamo tutelare i nostri interessi, che riteniamo coincidano con quelli economici del Paese. Per fare questo è doveroso poter trattare con un governo di qualsiasi orientamento. Noi dobbiamo fare economia e non politica.
Dal giorno del convegno di Vicenza non sembra che le cose stiano così.
Ci sono due elementi principali da considerare. In primis è tornata in evidenza una divisione tra grande e piccola-media industria. Questa spaccatura si era ricucita con le due ultime presidenze, D’Amato e Fossa. Il primo fu un’espressione del Nordest.
La grande industria ha voluto riprendere spazio e poi ha eletto Montezemolo, che non è nemmeno un imprenditore, ed è per di più legato a grandi interessi quali Pirelli, Fiat. “Questi” stanno con la sinistra per convenienza, il Nordest invece no perché è costituito da piccoli e medi imprenditori. Da questo si spiega ciò che è accaduto Vicenza.
Oggi le imprese sono di fronte a sfide globali, i confini dell’economia sono più che mai senza barriere. In questo quadro, come vede il futuro del sistema economico Nordest?
Non vive un’altra epopea come dieci o quindici anni fa, vive un’altra situazione che si sta evolvendo più positivamente che in altre aree. Sono convinto che vedremo questi risultati nei prossimi due o tre anni. La particolarità della nostra area, è che negli ultimi dieci anni ha avuto la progressiva apertura dei paesi limitrofi dell’Est. Ha potuto quindi utilizzare da una parte questo importante serbatoio dal punto di vista della produzione a basso costo. D’altra parte ha permesso agli imprenditori di allenarsi nell’operare in Paesi nuovi e diversi.
E’ stata quindi una palestra, un ottima scuola per le nostre aziende, che hanno imparato a superare situazioni con le quali non si sarebbero mai confrontate in patria. Ora quindi andare in Cina o in India, è più facile per un’azienda per Nordest. Rispetto ad altre regioni italiane siamo preparati .
Vi sono però questioni legate alle dimensioni quando si vuol operare in mercati così grandi.
La dimensione dell’azienda conta certamente. E’ più facile andare in Croazia, forse solo perché ci si va pure in auto. Ma per le prime aziende che andarono in Croazia fu difficile, poi le altre seguirono. Lo stesso può accadere in Asia: alcune apriranno la strada, faranno da traino alle altre.
Cosa teme di più dal neo governo di Romano Prodi?
La preoccupazione è che i partiti di sinistra chiedano dazio al governo e questo sia costretto a fare cose che non funzionerebbero e che anzi sarebbe un danno.
Pensiamo alle tassazioni, al mercato del lavoro. Ilò neo presidente Romano Prodi è cosciente delle esigenze dell’Italia che produce. Governerà se riuscirà a resistere alle tentazioni dei partiti mettendo al centro del suo impegno l’economia reale, l’impresa e quindi la produzione. Ho dei dubbi che vi riesca.
Nella nostra Regione stiamo vivendo un delicato passaggio generazionale. E’ una questione reale?
Il cambio di generazione è molto sentito ed ha conseguenze pesanti soprattutto per le piccole aziende gestite dal capo famiglia. Aziende che per dimensione non hanno struttura, non hanno cresciuto un management e che quindi sono a rischio chiusura nel momento in cui il fondatore lascia.
I giovano di oggi a suo avviso sono pronti al futuro?
Hanno di fronte sfide certamente importanti e non sempre facili. Il mondo cambia velocemente e loro devono esser pronti a cambiare, a spostarsi. Gli imprenditori che viaggiano lo vedono, recepiscono i cambiamenti. I giovani hanno difficoltà a farlo o non hanno la possibilità di farlo. Ho comunque molta fiducia nei giovani.
Che cos’è il Nordest oggi?
Credo si debba definire cosa intendiamo per Nordest. Il Nordest è il Veneto. Ma non tutto il Nordest è il Veneto. Lo slogan Nordest fu un mio suggerimento, un’idea che diedi qualche anno fa all’allora direttore del Il Gazzettino Giorgio Lago. Con il tempo l’area a cui si riferisce si è allargata, comprendendo zone che nulla hanno a che fare con il vero Nordest, cioè il Veneto.
Lei è uno degli imprenditori usciti da Il Gazzettino assieme a Luigino Rossi. Cosa ne pensa del risultato ormai scontato relativo alla proprietà e gestione della testata.
La questione relativa alla proprietà de Il Gazzettino si è chiusa come ci si attendeva.
Le varie proposte, di cui si è parlato e scritto molto in questi mesi sono arrivate troppo tardi. Sono arrivati tutti troppo tardi. Orami la vendita all’editore Caltagirone era stata effettuata. Spiace vedere come l’editoria viva un eccesso di immobilismo, ci sono poche novità. L’ultima vera innovazione in Italia è stata La Repubblica e forse Il Foglio.
L’Adige, 27 Maggio 2006, pagg. 1 e 5