«Intercettazioni, male necessario»
è questo un fatto di barbarie giuridica. Giustamente si potrebbe osservare che – intercettando qualunque cittadino, giornalisti, magistrati, sindaci ed avvocati, professori e ufficiali e quant’altro si potrebbe pubblicare un notevole florilegio culturale[//] e sociologico. Le leggi a tutela della privacy abbondano, soprattutto quelle inutili. Esiste il “segreto istruttorio” ma pare che tale norma sia caduta in desuetudine. Da dove fuggono le documentazioni, i verbali, gli interrogatori, le intercettazioni? Un dato logistico è certo: dagli uffici degli inquirenti, dove ci sono solo magistrati, loro collaboratori spesso funzionari di Polizia, e gli avvocati della difesa. In teoria, con poche intercettazioni, un buon magistrato potrebbe sapere tutto in breve tempo. Ma quelle intercettazioni non sono forse opportune. non si sa mai niente sui responsabili delle fughe di notizie ed al CSM non ne hanno mai sentito parlare. Il circuito è breve: chi indaga, chi trasmette, chi pubblica. Ognuno fa il suo mestiere, ma la legge non va rispettata da tutti? Sappiamo bene che non è uguale per tutti: Altrimenti non ci sarebbe motivo per scriverlo ovunque. Ma tutti vorremmo che così fosse. Uguale anche per l’indagato che ha diritti anche se rinviato a giudizio, processato e condannato. Diritti diversi per ogni fase della vita processuale. In un paese dove la legalità è sempre più sottovalutata, dove i reati peggiori per la società li commettono i colletti bianchi, dove le cariche pubbliche sembrano non coinvolgere più di tanto i loro titolari, dove le lobbies comandano e sembrano esenti da qualunque contestazione – se non il palese reato – le intercettazioni sono uno strumento necessario. Ma più si afferma questo diritto più si deve invocare il massimo rigore sul suo esercizio. Non ci risulta che sia così. Troppo spesso assistiamo, ancor prima del processo e spesso del rinvio a giudizio, a conferenze stampa di alti ufficiali di organi di polizia, di pubblici ministeri che fanno grancassa sui loro successi, encomiabili certo da parte dello Stato e delle sue gerarchie ma non dagli operatori tv e dai cronisti indifferenti troppo spesso dei diritti individuali. Se il consenso popolare serve ai magistrati inquirenti allora si sottopongano, come i politici, al voto popolare. Se no, si torni al costume austero di un tempo, al parlare solo con le sentenze, a sdegnare i “processi in piazza”, al magistrato garante della sua stessa autorevolezza e serietà. Non importa se i cronisti avranno meno da scrivere. Saranno stimolati ad indagare essi stessi come negli Stati Uniti ed altrove, guadagnandosi i premi Pulitzer, invece di essere troppo proni alle esigenze dei poteri forti, a cominciare da quelli editoriali.