Giuliano Ambrosini, presidente di Acon, spiega perchè nel tessile-abbigliamento non dobbiamo temere il colosso orientale: «Marchio e design made in Italy, è questo il segreto del nostro successo[//]. E la Cina in certi settori può rappresentare un’opportunità, non certo un pericolo» Un’azienda attiva da più da 30 anni come giudica oggi il mercato tessile? L’abbiamo chiesto a Giuliano Ambrosini, presidente di Acon spa che dal 1973 è cresciuta, passando dalla produzione di jeans di massa, ad uso per lo più lavorativo, ad una gamma più ampia di prodotti compresi tra il casual e lo sportswear per uomo, donna e bambino. Nel 2003 è stata siglata l’acquisizione di Interpool che ha aggiunto agli storici marchi Mash (un brand nato già nel 1974 e oggi di punta), Fordocks (una linea di ampia distribuzione , la cui acquisizione, negli anni ’90, ha fatto crescere il portafoglio clienti a 900 punti vendita), e Hinckley (un marchio di pantaloni trandy di ispirazione americana), la gamma di griffe dell’azienda vicentina, da Museum a The Mercer per citare i più famosi. «Lo scopo dell’incorporazione – spiega Ambrosini – era quello di elevare la nostra fascia di mercato, già medio alta, puntando sul marchio Museum leader nella giubbetteria di lusso. I 3 milioni di capi l’anno non ci dissuadono comunque di guardarci intorno per cogliere nuove eventuali opportunità». Fino ad ora questa politica ha premiato Acon, garantendole un fatturato di circa 45 milioni di euro nel 2005 e un promettente +10% nel previsionale 2006. «Non è una crescita eclatante – continua Ambrosini – ma segnala il buon andamento del gruppo, soprattutto nel mercato italiano. Gli utili che si registrano non sono da capogiro ma possiamo affermare con orgoglio che in 30 anni non abbiamo mai chiuso in perdita e non abbiamo mai licenziato nessuno. Il nostro organico è storicamente costituito da circa 120 persone, oggi 140 con l’acquisizione di Interpool». Il segreto del successo? Capire a chi si sta vendendo. Il consumatore di oggi si può indicativamente suddividere in due macro classi: chi sceglie in base al prezzo e chi cerca la qualità. «Il settore dell’abbigliamento – chiarisce il Presidente di Acon spa – sta passando sempre più in secondo piano: i consumatori non percepiscono il bisogno di vestirsi come una necessità ma piuttosto come un desiderio di comprare. Per questo vengono preferiti capi particolari, di elevata fattura, garantiti dal marchio. Ci sono molti altri beni di consumo che vengono anteposti agli abiti, come il telefonino per l’uomo o gli accessori per la donna. Il cliente di oggi è più attento, rispetto ad un tempo, all’immagine e alla qualità del prodotto, conosce le tendenze moda, si fida della pubblicità lasciandosi influenzare da questa e quando entra in un punto vendita ha già le idee chiare». Acon Group si rivolge per un buon 80% al mercato domestico mentre il restante 20% è distribuito in Europa. «Per quanto riguarda gli scambi intracomunitari – prosegue Ambrosini – stiamo assistendo a periodi di grandi trasformazioni e modifiche. Dalle scelte future delle singole aziende si potrà dire se questi cambiamenti saranno positivi o negativi. Per ora è tutta da giocare». Fuori dai confini italiani, invece, rimane la realizzazione dei capi. «La delocalizzazione è sempre stata una nostra filosofia. In Italia – aggiunge il Presidente di Acon – è difficile reperire la manodopera necessaria, soprattutto nel comparto tessile, e la gestione delle punte di produzione non è sostenibile negli stabilimenti locali. Per questa ragione entro i confini manteniamo il centro logistico, i campionari, il design e le fasi finali del processo quali il controllo e la finitura, mentre esternalizziamo la produzione soprattutto lungo i Paesi del mediterraneo, come Marocco, Egitto, in Romania e nel Far East. Cerchiamo, in questi Paesi, il prodotto migliore al prezzo migliore». Un discorso a parte va fatto per la Cina, orami sulla bocca di tutti. «Il colosso orientale – conclude Ambrosini – può risultare competitivo per la produzione di capi a basso valore aggiunto ma per il pronto moda donna e per il lusso, nei quali è presente un design caratterizzante ed una qualità elevata, è più probabile rappresenti un’opportunità che un pericolo».