Cara Democrazia, questa sconosciuta
La domanda ricorrente che ci si sente fare è sempre sulla durata di questo governo. E’ una domanda legittima perché tutti vedono la sua intrinseca debolezza, i contrasti interni neppure mascherati, le nubi politico finanziarie sulla testa di Prodi e tanto altro ancora[//]. Una battuta sulla dipendenza di questo governo che gira per Roma è “prima c’era il governo della crostata, ora c’è quello della prostata” secondo un’ironica ed autocritica battuta di Cossiga. Il problema non riguarda però solo i dati numerici al Senato; c’è proprio una difficoltà di intesa all’interno della troppo ampia coalizione,caratterizzata da elettorati con caratteri diversi e pulsioni contrastanti. Questa situazione mette a dura prova la fedeltà dei sostenitori del Governo nelle Regioni e nei Comuni, nei pur sempre affezionati sindacalisti che temono di rimetterci la faccia, in quei ceti” superiori, fino alla Confindustria, che si aspettavano, in cambio del sostegno al centrosinistra, di continuare ad avere vantaggi, contributi ed esenzioni. Che Prodi avrebbe concesso se non ci fosse stata la legittima interferenza dei Verdi e dei Comunisti. Certo, se ci fosse una crisi e le elezioni anticipate il Centrosinistra pagherebbe un pesante scotto. Forse potrebbe -ai punti- prevalere il centrodestra. per il tripudio dei soliti cortigiani, quelli che hanno sprecato il quinquennio passato. A pagare il conto comunque sempre questo povero Paese che si ritroverebbe tra la zuppa ed il pan bagnato, a scegliere non tra il bene ed il meglio, ma solo per quello ritenuto il male minore. Ma il Paese non può rimanere oltre, in questo vuoto di vera politica, in assoluta mancanza di democrazia sostanziale, con una legge elettorale che non consente la libera elezione dei rappresentanti del popolo, con un popolo sempre più vittima delle burocrazie nazionali, regionali, provinciali ed oltre. Con questa situazione che cosa cambia tra un governo di centrosinistra in uno di centro destra? La democrazia nel nostro Paese e in crisi di credibilità, è percepita come fatto formale e non sostanziale; il potere e sempre più visto come in immunità, come centro di interessi non sempre politici ma troppo spesso economici e finanziari, come professione lucrosa e poco o punto sottoposta al giudizio popolare. È’ indispensabile realizzare grandi cambiamenti per portare verso il popolo, con i suoi doveri e i suoi diritti, il baricentro del giudizio politico, non sono sui parlamentari che non contano più, ma suoi partiti, sulle lobbies, sulle grandi e piccole aggregazioni di potere, sugli imperscrutabili sindacati, sulle fondazioni bancarie, sulle Authorities inutili quanto costose; e poco indipendenti. Senza scelte politiche di questo tipo, che nel concreto bisogna individuare nelle priorità ma che sono davanti a gli occhi di tutti, non si va lontano: incompatibilità tra incarichi, molteplici indennità e molteplici funzioni politiche e amministrative, riduzione dei costi della politica, e eliminazione di finanziamenti pubblici ai giornali di partito, ai gruppi parlamentari, per non andare oltre. Prima nelle prossime elezioni occorre la definitiva riforma della legge elettorale, che auspichiamo con collegio uninominale a doppio turno. O tra le due più significative parti politiche contrapposte si trova un accordo su tutto ciò oppure alle elezioni è inutile andare. Ecco perché questo governo dove reggere. L’alternativa è la crisi, che è dietro ad ogni angolo, l’avvio di un governo di transizione e di compromesso (quanto ci terrebbe l’on. Casini!)per la sola riforma elettorale e poco più. Solo successivamente gli italiani potranno decidere cosa fare e chi deve farlo, perché da fare ci sarà ancora tutto il resto, tutto ciò che serve per rimettere il Paese nel binario di una democrazia compiuta, possibilmente stabilizzato sul piano economico, avviato al risanamento di quel debito pubblico che è il frutto avvelenato del compromesso assai poco storico tra l’ultima Dc, l’ultimo PCI, i Sindacati ed i poteri forti confindustriali e finanziari. Quello definibile come il compromesso dell’inciucio.