Come segnalato anche nel numero de L’Adige della scorsa settimana, la Banca centrale europea ha aumentato la quinta volta negli ultimi undici mesi i tassi d’interesse, che hanno quindi registrato un incremento complessivo di 1,25%[//]. Come per ogni aumento, si sono succeduti calcoli, valutazioni e giudizi sull’impatto di tale intervento sulle famiglie, specialmente per chi ha mutui o prestiti in essere. Abbiamo chiesto il parere di un esperto, Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline, per cercare di capire quali conseguenze può provocare nelle nostre tasche questa politica monetaria restrittiva di Trichet. «Purtroppo i criteri di simulazione non sono univoci – spiega Roberto Anedda – e di conseguenza, a seconda dei parametri di calcolo adottati, la quantificazione degli effetti può risultare molto concreta o alquanto astratta. Anche se è matematicamente corretto segnalare che gli aumenti operati dalla Bce nell’ultimo anno comportano, su un mutuo a 20 anni di 250 mila euro, una maggiore uscita di 170 euro al mese, ovvero oltre 2 mila euro all’anno. Andrebbe però anche precisato che un mutuo di tale importo non è propriamente rappresentativo del mutuo mediamente sottoscritto in Italia». Quindi secondo i vostri dati qual è la cifra rappresentativa dei mutui? E perché questo ulteriore rialzo non dovrebbe preoccupare? L’importo medio di mutuo negli ultimi due anni si è infatti attestato tra i 110 mila e i 120 mila euro, mentre solo il 13% dei mutui è stato erogato per importi superiori a 200 mila euro. L’aggravio di oltre 2 mia euro annui fa quindi riferimento a un ristretto numero di mutui, per di più accesi nel 66% dei casi da famiglie con redditi netti mensili dai 2 mila euro in su. Meglio quindi sarebbe adottare simulazioni più vicine alla realtà del mercato, in modo da dare indicazioni più precise alla maggioranza degli interessati ed evitare false preoccupazioni alle famiglie. Resta il fatto che 1,25 punti percentuali in un anno, in qualche misura possono rappresenre un segnale d’allarme per le famiglie… L’aggravio di costi dipende non solo dal tasso ma anche dalla durata del mutuo: tenendo come campione un mutuo da 120 mila euro, l’aumento dell’1,25% sui tassi ha comportato un aggravio mensile che va dai 73 euro per un mutuo a 10 anni fino ai 90 euro per un mutuo di 30 anni. Tali effetti valgono per i mutui accesi un anno fa, mentre all’aumentare dei rimborsi già effettuati gli effetti incrementali sulle rate residue si riducono progressivamente, fino quasi ad annullarsi qualora si sia già nella seconda parte di vita del mutuo. Per comprenderne appieno la portata effettiva dell’aumento tassi occorre poi anche fare riferimento alle rate di partenza dei mutui stessi. Un mutuo da 120 mila euro acceso un anno fa prevedeva rate mensili dai 1170 euro (10 anni di durata) ai 522 euro (30 anni di durata). L’aumento percentuale delle rate ha oscillato quindi dal 7% circa per i mutui brevi al 17% di quelli a più lunga durata. Questi dati sembrano ridimensionare lo scenario più volte evocato, ovvero che le famiglie italiane non saranno più in grado di rimborsare i mutui in essere e saranno costrette alla ri-negoziazione dei mutui stessi? Non è plausibile che un aggravio di così pochi punti percentuali sul reddito possa mettere in effettiva difficoltà le famiglie, altrimenti (date le cifre) lo stesso effetto potrebbe avere un minimo imprevisto come la riparazione di un bagno di casa o dell’auto di proprietà. Tale contesto sarebbe riferibile solo a famiglie di reddito limitato, che si fossero indebitate oltre un limite sostenibile e senza aver valutato le possibili conseguenze di un aumento dei tassi, a causa probabilmente della scarsa professionalità e correttezza dell’operatore finanziario che ha costruito l’offerta di mutuo. E, a proposito delle scelte operate sui mutui, non è neanche corretto rilevare genericamente che le banche che hanno consigliato mutui a tasso variabile negli anni scorsi abbiano operato per proprio interesse e, alla luce dei recenti aumenti, reso un cattivo servizio ai clienti. Le scelte della Bce hanno riconfigurato la forbice tra fisso e variabile. Questo può portare ad un aumento nelle preferenze dei tassi fissi? Anche alla luce degli ulteriori aumenti dei tassi che probabilmente si verificheranno entro il 2007, lo scenario dei tassi d’interesse ha modificato notevolmente la prospettiva di convenienza nella scelta di un mutuo: fissi e variabili sono a questo punto abbastanza equivalenti da un punto di vista di semplice costo finanziario. C’è però un vantaggio da parte di chi predilige la sicurezza: con questi tassi ora può optare per un tasso fisso senza timori di un costo eccessivo, mentre chi vuole comunque cercare di massimizzare il risparmio o l’importo ottenibile potrà ancora orientarsi verso il variabile.