è più grave “farsi una canna” o esprimere una profonda, abissale ignoranza pur essendo Parlamentari della Repubblica? Certo le Iene infastidiscono, usano metodi molto aggressivi, sanno mettere in imbarazzo. E’ la forza del loro mestiere. Ma sono giornalisticamente molto bravi[//], e hanno buone intuizioni. Si sono posti la domanda: ma quanto sono preparati – politicamente e culturalmente – i nostri parlamentari? La risposta l’hanno data loro, gli interessati. Non tutti per carità. Ma una dose tale da tramortire la fiducia dei cittadini elettori. I nostri legislatori, quelli che devono decidere le scelte di politica interna ed estera, economica e culturale, della pubblica istruzione e della università, ne sanno assai meno di pur inadeguati studentelli. Magari sono dei professionisti: medici, avvocati, commercialisti, consulenti vari, gente di spettacolo, ma non hanno i fondamenti della cultura e dell’informazione politica. Non sanno cos’è il tanto rilanciato Darfur, dov’è Guantanamo, addirittura cos’è la Consob. E dobbiamo riconoscere che le Iene, gli intervistatori sono stati clementi, che non hanno chiesto cose difficili o memorie storiche, o i nomi di studiosi di filosofia del diritto o di scienza della politica. Si potrebbe obiettare che anche un buon professionista può non conoscere la geografia politica o la storia o le istituzioni. Un buon medico può essere capace pur senza conoscere tutto ciò. Anche se ci piacerebbe anche un medico colto. Infatti la cultura è pervasiva, è conoscenza, frutto della curiosità della storia e della vita. Ma questi non sono solo professionisti: sono anche uomini o donne della politica, siedono nelle severe aule della Repubblica, discutono (si fa per dire) dei problemi della Nazione, sono la “classe dirigente del Paese”. Un tempo si diceva che ogni popolo ha il Governo che si merita, ed è in gran parte vero quando il popolo elegge democraticamente il Parlamento che poi esprime i governi. Ma questo attiene ai limiti della democrazia e delle sue espressioni. Questa volta però il popolo non ha molte responsabilità. Perché questo Parlamento più che eletto è stato nominato, sulla base di criteri assai discutibili. Belle donne televisive, fedeli esecutori di ordini, amici di famiglia, finanziatori generosi, giovanotti inventati di sana pianta, qualche burocrate delle associazioni di categoria, e quant’altro di simile. Non tutto il Parlamento va così. Non mancano politici attenti ed informati, uomini di cultura e di cognizione politica. Sono sempre di meno, contano poco, spesso devono difendersi dalla aggressione di gruppi più rumorosi e demagogici. In realtà alle ultime elezioni il popolo ha solo ratificato delle nomine: una ventina di persone ha di fatto nominato il Parlamento della Repubblica. Una legge elettorale che sembra stata pensata come strumento di un “auto da sè”, la concezione della ormai superata funzione rappresentativa del Parlamento, la convinzione che le scelte le fanno i capi e gli altri debbono “sorridendo obbedir”, la presunzione di esistenza dei partiti ormai svincolati da regole di democrazia interna e troppo spesso anche di tirannia illuminata: tutto questo e altro ancora ha dequalificato la politica, il suo ruolo, l’essenzialità della sintesi e della decisione, la responsabilità delle scelte effettuate. Se la fine della prima Repubblica è stata caratterizzata dalla prevalenza dei faccendieri e delle lobbies, dalle belle corruzioni e dalle illiceità finanziarie e dalla crisi dei partiti, la seconda Repubblica sembra cadere per l’incapacità di superare gli stessi potenziali difetti per l’assenza di una vera, consolidata, legittimata, preparata classe dirigente. La vicende delle interviste ai deputati non deve essere considerata assoluta e totalizzante. Ma è emblematica di una situazione. Una legge economica (ma a mio avviso non solo), la legge di Gresham, stabilisce che “la moneta cattiva scaccia la buona”. È una regola questa ampiamente verificata, non contraddetta ma sempre confermata. Si sta realizzando ovunque: nell’economia prevalgono i finanzieri d’assalto, gli speculatori e i banchieri truffaldini sugli industriali produttori veri di beni e servizi; nell’informazione le voci demagogiche su quelle riflessive, quando non i silenzi compiacenti ed interessati; nel costume la volgarità sulla eleganza e il rispetto; nella politica conta lo spettacolo, la farsa sulla intelligente ironia, i volti sorridenti e truccati sugli argomenti e sulla conoscenza dei fatti e sulla loro interpretazione. Se uno spinello può, pur temporaneamente, valorizzare la vivacità di una intelligenza certo è male, ma non peggio di una inutilmente stuzzicata ineffabile ignoranza.