Quando l’orologio era un’opera d’arte
Siamo talmente abituati alla loro presenza, quotidiana e costante, che raramente ci interroghiamo su quali possano essere state le tappe che hanno portato alla loro nascita[//]. Difficilmente, infatti, riusciamo a immaginare quali implicazioni personali ma prima di tutto comunitarie e di mercato possa avere avuto la nascita dell’orologio, se non dopo un attento e curato studio delle fonti, dei registri, degli inventari di epoche remote. Un lavoro condotto da Elda Martellozzo Forin nel libro “La bottega dei fratelli Mazzoleni orologiai in Padova (1569)”, ove l’attenzione dell’autrice si concentra su un periodo ben specifico (il Cinquecento) e su un’ancor più specifica realtà (quella padovana), con lo studio della lunga vertenza giudiziaria che vide protagonisti i fratelli Mazzoleni, proprietari di un’importante fabbrica di orologi a Padova. Ma in realtà il campo d’analisi si apre all’intero contesto artigianale veneto rinascimentale, con tutto il fascino che il mondo dell’artigianato, della moda, del collezionismo di questi oggetti portava con sé. Naturalmente, in un mercato così promettente non poteva mancare la concorrenza, lucida e spietata, che costringeva le nuove botteghe a dare sempre il meglio e a pensare a formule innovative per una clientela (ormai borghese) sempre più attenta ed esigente. E proprio la creazione di un orologio, con tutto ciò che esso comportava in termini di conoscenza scientifica, attività artistica, meditazione filosofica e abilità tecnica, è il caso forse più significativo dello stretto legame tra arte ed attività manuale, tra creatività e funzionalità, con tutti i processi mentali e le implicazioni culturali che il libro di Elda Martellozzo Forin riesce a far emergere. Elda Martellozzo Forin, “La bottega dei fratelli Mazzoleni, orologiai in Padova (1569)”, Il Prato, 141 pp.