I giornali abbondano di previsioni sul futuro a breve del governo Prodi: cadrà sulla finanziaria, Prodi è già decotto, è rimasto solo anche nella sua maggioranza, la finanziaria non regge di fronte alla[//] protesta generale anche di quelle categorie che hanno sostenuto Prodi. Certo in politica si naviga con una rotta, una destinazione, ma anche molto “a vista”, secondo le bizzarrie del clima, i venti improvvisi, talvolta anche, ma è assai raro, tenendo conto di possibili ammutinamenti. Non ci pare però che l’ora ci è giunta. Il governo metterà la fiducia, magari dopo un maxiemendamento che accontenti un po’ di parlamentari e compatti il suo esercito. Se non ci saranno eccessi e decessi, non dovrebbe cadere sulla finanziaria. Stranamente il percorso più duro si aprirà dopo, ed anche come conseguenza delle differenze emerse sulla finanziaria, peraltro prevedibili e da molti previste. Certo sarà il Senato l’agone più difficile, proprio per la sua parità numerica; ma i problemi saranno ben più vasti e non solo strettamente parlamentari. C’è, dietro alle divergenze di governo, molto di più: sull’azione e l’inazione di governo ci si può sempre accordare, si può transigere e barattare. Sulle strategie politiche è ben più difficile, perché passano sulla pelle dei “sedicenti” partiti, le loro convenienze e concorrenze interne, le reazioni dell’elettorato di ognuno, antiche rivalità non sopite, in tutta quella vasta area di situazioni in cui la politica perde gran parte dei suoi valori, per occuparsi di bottega, di potere, di alimentazione e sopravvivenza. Inoltre una crisi di governo porterebbe ad un governo ponte, più ingestibile di questo e ad elezioni anticipate ma non troppo. Un percorso a ostacoli per i partiti di governo e di opposizione. Come non vedere la gravità delle divisioni sul problema della costituzione del partito democratico e come sottovalutare la trasversalità del referendum sulla legge elettorale e sul suo effetto dirompente dell’attuale equilibrio interno ai partiti? Né, sull’altro fronte, vanno sottovalutate le rivalità, le difficoltà di unificazione politica nel centrodestra, le concorrenze interne e la nuova lotta degli “investiture”, con un ritorno a rissosità medioevali. Si possono comprendere le difficoltà di aprire una crisi di governo in queste condizioni ed immaginare anche le “consultazioni istituzionali”, al Quirinale, del presidente Napolitano con i presidenti Bertinotti e Marini. C’è da chiedersi, in questo bailamme, da dove cominciare per non far crollare tutto il palco e per far raffreddare la patata che rischia di ustionare chiunque la tocchi. Se non ci fossero i caratteri personali di Prodi e Berlusconi, così diversi e così antitetici, si potrebbe immaginare un “accordo di Yalta”, per sistemare alcuni problemi, prima di riprendere la guerra. Penso ad un accordo su due o tre cose fondamentali, di sistema: una legge elettorale maggioritaria, con regole che garantiscono un minimo di garanzia sulle libertà dell’elettore e la non imposizione delle candidature; un impegno bipartisan di principio sui temi costituzionali della giustizia e del decentramento più o meno federale dello Stato, senza eccessi e con maggior rispetto delle autonomie con la responsabilità di spesa e di reperimento fiscale delle risorse. Per fare questo ci vuole un po’ di tempo: forse quello necessario anche per superare metà della legislatura e di preparare il confronto in un clima meno avvelenato. Un minimo di accordo sulle cose più serie ed urgenti sarebbe cosa saggia: ma la saggezza sembra non abitare più nei palazzi della politica.