Missione in Libano senza girotondi
Era prevedibile: il Libano è una polveriera ed in Siria – e non solo – ci sono i detonatori. A guardare e non toccare ci sono i nostri soldati, naturalmente in missione di pace, con il casco blu che è il colore simbolo della impotenza[//]. L’omicidio del ministro Gemayel è più grave di quanto non appaia, perché figlio di una famiglia leader tradizionale della componente cristiano- maronita, antagonista degli hezbollah che ha sempre considerato invasori e dei siriani considerati occupanti. Il livello dello scontro possibile tra le fazioni ci è ricordato da un nome tragico: Sabra e Chatila. Il pacifico, ricco Libano, un tempo chiamato la Svizzera del Medio Oriente, iniziò il suo declino, la sua storia di distruzioni e di guerre, di invasioni subite, con la presenza dei palestinesi. Era quella ospitalità una sorta di soccorso umanitario, quello rifiutato da molti paesi arabi, concesso anche dalla Giordania che se ne liberò nel sangue del settembre nero. Ancora una volta il Libano piange per problemi non suoi, per l’occupazione di fatto degli hezbollah, la loro costituzionalizzazione, la struttura armata e ben più forte di quella ufficiale dello Stato libanese. Il Libano è vicino, non quanto l’Albania ed il Kosovo ma meno dell’antica Cartagine da dove Catone faceva venire fichi freschi da portare in Senato per dimostrare la pericolosa vicinanza. Ora in Libano ci sono i nostri soldati, a fare qualcosa di “diverso” da quello che altri soldati ONU e italiani facevano prima: cioè nulla. Salvo costare molti soldi al contribuente italiano. Avrebbero dovuto disarmare gli hezbollah, rendere sicuro il territorio del “secondo Stato” libanese. Dovrebbero essere il simbolo di una presenza europea che Prodi e D’Alema sostenevano, in funzione limitatrice di quella statunitense. Tutto fa pensare che il livello di pericolo della missione si alzi prepotentemente, che diventi un po’ troppo irachena, che qualche detonatore si azioni e le conseguenze ci colpiscano attraverso i nostri soldati. Al dolore per questa situazione, per le possibili perdite, si aggiungerà quello per l’assenza di girotondi di protesta, di manifestazioni da “100, 1000, Nassiria”, per la mancanza di accuse al bieco governo che manda i nostri alla guerra libanese. No, questi sono soldati di pace, non usano le armi, invece di disarmare gli altri sono già disarmati. È la forza dei pacifisti, le loro bandiere arcobaleno che ci tranquillizzano. I soldati di un governo con Diliberto e Bertinotti, anche quando sono in zona di guerra, sono soldati di pace. Perché i mandanti sono uomini di pace, dal pacioso Prodi fino al sempre teso on. Rizzo. Ora la situazione si complica e la grandeur italiana, dopo la Conferenza di Roma, potrà subire dei duri colpi. Bagdad, Kabul, Beirut, Sarajevo: siamo presenti in forze e ci sentiamo veramente importanti. E’ per questo che si accetta la finanziaria con il piacere di contribuire allo sforzo di “assistere” il mondo, anche se solo per osservarlo.