Un tempo c’era il centro, o meglio il centrismo, accusato degli immobilismi, dell’esclusione di altre presenze e quindi dell’alternanza, di strapotere della DC sui più piccoli alleati, dell’emarginazione della destra dell’allora MSI e del PCI dalla partecipazione al governo[//]. In mezzo, tra PCI e MSI, c’era e lo si chiamava centro. Ma la definizione era equivoca, non corrispondeva alla realtà dei fatti, alle volontà politiche reali, alla fotografia del Paese. In realtà si trattava, per le note situazioni del confronto bipolare internazionale, di un modo anche allora “politically correct” per definire una situazione bloccata, a destra ed a sinistra. Il centro riuniva chi era abilitato – dal voto naturalmente – a governare. Il centro era in sostanza la non alleanza con la sinistra socialcomunista e con la destra postfascista. In mezzo rimaneva il grande partito democristiano e gli alleati, i piccoli PSDI, PRI, PLI ed altri minori e temporanei. C’è voluto il crollo dell’impero sovietico per fare saltare il meccanismo ormai inceppato, superato dagli accordi sotto e sopra banco, caratterizzato ovviamente dalla gestione del potere a destra e a sinistra della politica italiana. Proprio perché il centrismo rappresentava la mancanza di alternativa il crollo fu rovinoso, si passò dal sistema proporzionale ad un quasi maggioritario sull’onda del referendum, di tangentopoli, della crisi morale ed istituzionale, con il crollo, guarda caso, dei partiti centristi e di governo (dai liberali al PSI passando ovviamente per la DC). Sembra ieri ma sono passati quasi 15 anni. Dopo il terremoto, la ricostruzione politica, a parte gli entusiasmi, è apparsa più simile a quella del Belice che non a quella del Friuli. Dopo un breve periodo di epurazioni da parte degli elettori, i nuovi contenitori si riempirono di vecchio vino, in parte reso buono dal tempo ma in larga misura cattivo, inacidito, poco potabile. Così lentamente, più per le colpe che per i meriti dei “nuovi” governanti, torna la nostalgia del “centro”, proustianamente una sorta di ricerca del centro perduto, vedendosi in esso – che però non esiste – la risoluzione dei nostri problemi, il superamento delle incapacità della classe dirigente, la sua frantumazione partitica, la ricerca di “sedicenti” identità. Con il bipolarismo qualcosa è però cambiato e la gente ha perfettamente capito che il centro non è sinonimo di moderazione ma di compromesso e che gli elettori non hanno alcuna voglia di perdere il potere – ora reale – di cambiare i governi, i leaders, di mandarli al governo o alla opposizione. Tutto questo a livello nazionale come locale, nel governo centrale come nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni. Ecco perché “il centro” è oggetto di grandi discorsi e di pochi voti. Mastella e Casini lo evocano ma non dicono per fare che, per quale progetto politico. Si parla solo di moderazione, di non estremismo, di mediazione che sono modi di esprimersi in politica, non di fare una politica. Non appena però vogliono stringere in termini di consenso, la loro stessa base traballa: se Follini dice barra al centro la signora Tisato e Trabucchi dicono, a Verona, barra a sinistra. Se Casini esce dalla Casa delle Libertà e propone di presentarsi da soli e verificare l’elettorato Peretti, Meocci e gli altri riaffermano la loro incrollabile fede nella Casa delle Libertà, e vogliono addirittura incarnarla su di loro. Molti ambiscono, anche in buona fede, al centro perduto, al ritorno ad antiche posizioni senza alternativa, con cattivi comunisti sempre all’opposizione, e di buoni democristiani sempre al governo. Non la politica dei due forni, dove prendere il pane al miglior prezzo ma di un forno solo, il proprio. La gente però ne vuole due e vuole decidere in proprio chi il pane lo fa male o meno peggio. La ricerca del centro perduto rimane quindi un elegante esercizio intellettuale. Ma, di fronte alla scadenza, alla rivolta dei propri ufficiali e sottufficiali che troppo spesso non amano la testimonianza, i capi “centristi”, da Mastella a Casini, certo malvolentieri ma in modo evidente, dovranno gridare un forte “indietro tutta”.