Ricordando Mariano Rumor, con nani e giganti …
Il comune di Lavagno ha ricordato, con l’intestazione di una via, Mariano Rumor, cinque volte Presidente del Consiglio, Segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Ministro di più governi. Forse il più importante uomo politico espresso dal Veneto con la Repubblica. La cosa che ha colpito è stata l’affluenza di pubblico che ha gremito il palazzo comunale ben oltre la sala e la scalinata, l’attenzione, il silenzio riflessivo dello stesso, ed un atteggiamento che era un misto di nostalgia e di rimpianto. Si rievocava una Dc ormai lontana, in particolare quella degli anni dal 1964 al 1972, con Rumor segretario della Dc e poi Presidente del Consiglio[//]. Non erano stati anni facili, non di piacevole ricordo, anni di crisi, di terrorismo, di instabilità. Eppure nella gente presente alla cerimonia sembravano apparire anni degni di rimpianto. Cominciarono, quegli anni, con l’assassinio del presidente Kennedy e poi di suo fratello Bob; con l’estromissione dalla leadership sovietica di Krusciov e l’avvio dell’era dura di Breshnev, e con la fine del pontificato di Giovanni XXIII, il Papa buono. Il dramma del Vietnam cresceva a dismisura con la presidenza Johnson, il terzo mondo era tutto in sanguinose rivolte anticoloniali ed il confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica diventava sempre più duro e complesso sul piano militare, economico, scientifico e di presenza internazionale. In Italia dopo l’eroico e ricostruttivo periodo degasperiano, prendeva il potere la seconda generazione, dei Fanfani, Moro, Rumor, Taviani, Colombo, Andreotti, ed altri. Erano di fronte a quella difficile situazione internazionale ma anche alla fine del miracolo economico, al tentativo di riequilibrio politico per il nuovo e diverso rapporto con i socialisti di Nenni e De Martino, in sostanza alla lunga, difficile gestazione del centro sinistra, in una prospettiva che mutava radicalmente le contrapposizioni del passato. Furono anni strategici, che videro le prime grandi lacerazioni: dai franchi tiratori per l’elezione del Presidente della Repubblica, alla rottura e poi la trattativa con la sinistra per l’elezione di Saragat e la successiva fusione che creò il Partito Socialista Unificato, che non visse a lungo. Rumor ne fu protagonista assoluto nelle mediazioni con Fanfani, Moro e tutta la classe dirigente democristiana. Il paese intanto cominciava a vivere il “68”, preceduto peraltro da Francia e Germania, ma fu nella sua morsa ben più a lungo, fino all’omicidio di Moro ed oltre. Non si può certo dire che siano stati anni da rimpiangere. Come mai allora verifichiamo, spesso con sorpresa, un ricordo ancor pieno di ammirazione, di convinto apprezzamento verso quella dirigenza politica, non solo quella democristiana, che, nei suoi successori, fu poi quasi totalmente eliminata dagli elettori, dopo la crisi deil’inizio dello scorso decennio? C’è stato il rifiuto e la rivolta contro la classe dirigente del Paese, lo scandalo per la corruzione ed il costo della politica e della pubblica amministrazione, la grande ingenua speranza di una palingenesi, di una grande rimonta, di una ripresa della corsa dopo l’eliminazione della zavorra; l’impressione che il paese potesse trovare una nuova capacità di svecchiarsi, sburocratizzarsi, di ridurre il peso del corporativismo, dello spregiudicato lobbismo e del trasformismo. Il Paese però non è migliorato. Al contrario è aumentato il dirigismo camuffato da leadership, salvo le eccezioni è stata inventata una dirigenza politica con criteri familisti o aziendali o nepotisti o fidelisti. Ecco perché domina il clima di oggi, con la difficoltà di dover votare per persone scelte altrove, fuori dai criteri consolidati della storia politica, lontani dalle passioni morali di un tempo, dalle qualità culturali, dalla formazione amministrativa, dalla creatività politica. Anche i dirigenti di origine democristiana sono quelli delle quarte file di allora, attivisti e piccoli gestori, la cui statura viene ora ingigantita dal ruolo e non certo dalla autorevolezza personale conquistata sul campo. Il prevalere dello spettacolo come politica, di lussi e belle donne, (del resto i “nani e ballerine” della crisi socialista sono ancora nella memoria) sulle serietà della funzione pubblica, fa riflettere i cittadini più attenti. Rimpianto della DC ? forse, ma soprattutto di un metodo, un modello, un sistema di valori, quando la politica si faceva senza tante indennità, e, tranne numerose eccezioni, senza affari, senza prepotenze, senza eccessi di potere, con maggior rispetto per Giunte e Consigli ed Assemblee. Almeno qui da noi. Non fu tutto oro, non vanno dimenticati gli errori, i comportamenti sbagliati, l’arroganza delle partitocrazie, la ricerca di denaro per le preferenze elettorali, la compromissione con le aziende di stato, con le banche ed i grandi industriali e finanzieri, soprattutto negli anni ottanta. Oggi non c’è molta compromissione perché i poteri forti comandano in proprio, nelle sale di banche e fondazioni, senza tanti problemi di equilibrio politico. Certo l’inevitabile confronto dell’ieri con l’oggi e con molti dei personaggi odierni, evidenzia i capi del passato che ci appaiono dei giganti e ci fanno rimpiangere anche tempi difficili.