A guardare bene c’è un leit-motiv che si ripete da dodici anni a questa parte in città, ogni qualvolta vi sia la necessità di candidare qualcuno alla poltrona più importante della città: quella di Palazzo Barbieri[//]. Per settimane, talvolta per mesi, gli schieramenti politici si macerano in una lunga guerra di posizione che, alla fine, li obbliga o a soluzioni rabberciate alla meno peggio – la candidatura di Pierluigi Bolla, ad esempio – calate dall’alto, o percepite come tali (che è poi la stessa cosa), oppure alla candidatura di un outsider che si crea un proprio percorso autonomo e che costringe poi i partiti ad accodarsi. E’ successo (in parte) con Michela Sironi (specie fra il primo ed il secondo mandato); è succeso con Paolo Zanotto – il Forrest Gump che inizia a correre col risultato di farsi inseguire da un numero così elevato di persone che ancor oggi, in qualche caso, non sanno per cosa stanno correndo e con chi – , ed è successo anche con l’ex rettore Elio Mosele che dalla sua Civica ha costruito l’adesione della Casa delle Libertà. Può darsi che personalità, apparentemente non forti, davanti alla difficoltà della lotta politica tirino fuori il meglio di sé. Oppure può darsi che davvero i partiti veronesi – o almeno gran parte di loro, ma il dubbio è che il male sia davvero comune – non siano in grado di discernere “il bene, dal male”. Ovvero, il bene dei cittadini dal male rappresentato dai bizantinismi di una lotta per il piccolo cabotaggio del potere molto distante dai bisogni dei singoli veronesi. Per carità, di politica si è sempre campato – qui come altrove – e sempre si camperà. Però l’aggrovigliarsi attorno al nulla, senza avere il coraggio di esplicitare le vere poste in gioco, i reali interessi dei gruppi organizzati che gestiscono il consenso, porta poi regolarmente a Verona il successo di tanti Forrest Gump. Che rappresentano una possibile ventata di aria fresca in città, ma anche una debolezza oggettiva rispetto ad altri e ben più formati e strutturati circoli di potere in città. Che, non essendo politici, non hanno neppure la scocciatura di dover rispondere alla collettività del proprio operato. Questa esclusiva autoreferenzialità dei partiti e dei politici di casa nostra conferma quello che resta il grave limite di Verona: la chiusura delle elites di guida sia al cambiamento che alla realtà della città. Presi dai personalismi dell’agone politico, non si guarda – più pragmaticamente – a quello che interessa alla collettività. Stupirsi poi che i Forrest Gump abbiamo la meglio pare diabolico. Visto che si persevera nell’…errore