La cosa certa è che ebbe poca fortuna critica mentre era ancora in vita. E ancora oggi la vita e l’opera di questo artista che parte della critica definisce come il maggior poeta italiano dell’Ottocento cui Cremona ha dedicato la prima grande monografica da trent’anni a questa parte[//]. Giovanni Andrea Carnovali detto il Piccio (Luino 1804-Cremona 1873) ebbe una vita intensa tutta dedicata all’arte. La scelta di Cremona come sede espositiva è stata dettata dallo stesso percorso biografico del Piccio il quale, dopo pochi anni trascorsi nel paese natale, il periodo di formazione avvenuto a Bergamo presso l’Accademia Carrara e il successivo periodo milanese, vive in questa città tutta l’ultima fase di attività, per molti versi probabilmente la più affascinante, fino alla tragica scomparsa nel Po, dove annegò nel 1873. L’attività artistica del Piccio, presentata rispettando il percorso cronologico e stilistico della sua evoluzione, è scandita da alcuni temi portanti che ne caratterizzano le scelte iconografiche (le bagnanti, Agar…) e permette l’individuazione di significativi confronti con artisti coevi a lui legati da rapporti di amicizia o affinità. L’interesse del comitato scientifico si è soffermato sulle opere più significative della produzione del Carnovali e di altri artisti come Diotti, Trécourt, Coghetti…, concentrando la scelta su dipinti e disegni dei musei di Milano, Bergamo, Cremona e Pavia, oltre che di prestigiose collezioni pubbliche e private, sia italiane che europee (fra le quali il Museo del Louvre). Eccezionale evento la ricostruzione della cosiddetta “Sala ovale” della famiglia Berizzi, con il confronto tra quattro diverse interpretazioni del tema paesistico ad opera di quattro diversi artisti, tra cui il Piccio stesso. La mostra, costituita da 148 dipinti, disegni e bozzetti, si articola su nove sezioni che individuano nella cronologia dell’attività del Piccio alcuni temi iconografici fondamentali: ritratti e autoritratti; amici committenti e mecenati tra Cremona e Bergamo; la pittura sacra e il genere storico; ritratti nel solco della realtà; i dipinti di piccolo formato. Di sicuro interesse “Il caso dell’Agar” il lunghissimo iter preparatorio della pala di Alzano evidenzia che il vero riferimento neoclassico per il Piccio era più Appiani che Diotti: Piccio giunge a una rivoluzionaria impostazione iconografica e a un’interpretazione pittorica e naturalistica assolutamente inattese di questo tema sacro. Altri temi cari al pittore lombardo sono la mitologia e la natura (il nudo nel paesaggio) reinterpretati in una forma naturalistica che diviene panteismo e immersione nella natura incontaminata, per certi versi in grado di ricordare analoghe esperienze degli stessi anni in particolare nella pittura francese. Nella sezione “Aperture sul apesaggio” tema, inizialmente sfondo per i temi sacri e di storia, più tardi assume validità autonoma e diventa occasione per descrizioni di straordinaria efficacia cromatica e atmosferica. A testimoniare la piena consapevolezza della pittura en plein air, in mostra sarà ricostruito – fatto del tutto eccezionale – l’ambiente della cosiddetta “Sala ovale” di casa Berizzi, nella quale sono raccolti dipinti di paesaggio che costituiscono una sorta di gara tra Piccio stesso, Ronzoni, Trécourt e Canella. Infine i “Ritratti in dissolvenza”. Nell’ultimo periodo della ritrattistica del Piccio (anni ’60 e primi anni ’70), quando le novità di stesura pittorica e di immediatezza espressiva, in qualche modo già sperimentate nei bozzetti e in particolare nei dipinti di paesaggio, rendono ancora più vitale il sentimento del vero già adottato dal pittore fin dalla ritrattistica giovanile. Si spiegano così quelle immagini di personaggi che talvolta si presentano quasi in un apparente non-finito e che comunque fanno di una materia accesa e crepitante il loro segno distintivo. Soprattutto in quest’ultimo periodo l’artista indulge inoltre alla ripetizione di soggetti tra loro molto simili, in particolare per quanto riguarda immagini di personaggi femminili, che non sono necessariamente dei ritratti (come ad esempio le Flore) e che godono però di notevole fortuna proprio per l’inusitata e raffinata vibrazione dei colori.