Agrifood 2007. Per esportare di più non basta produrre bene, servono indirizzi strategici che valorizzino le peculiarità di ciascuna produzione. Da Nomisma un’innovativa definizione di Made in Italy agroalimentare che supera le divisioni di interpretazione e traccia la strada per le nuove politiche di promozione all’estero. Dai prodotti top price le migliori performance sui mercati esteri. [//]«E’ evidente che dobbiamo evolvere la nostra definizione di Made in Italy, perché le nostre produzioni sono un mix di origine e capacità di elaborare prodotti d’eccellenza». Questo implica l’adozione di nuove strategie per sostenere le imprese sui mercati internazionali. Lo ha detto Ezio Castiglione, capo di Gabinetto del Ministero delle politiche agricole a conclusione della presentazione della ricerca Agrifood/Nomisma sulle prospettive del commercio estero italiano che ha elaborato una nuova chiave di lettura delle produzioni italiane sulla base del loro posizionamento sul mercato mondiale. La strada percorsa da Nomisma per analizzare la situazione è innovativa. Infatti il posizionamento dei prodotti italiani sui mercati esteri è stato trovato valutando cinque variabili: i prodotti con origine territoriale certificata (quindi derivanti da materia prima italiana) in base alla quota di mercato occupata; il prezzo unitario all’export selezionando i comparti che spuntano sui mercati internazionali prezzi almeno del 50% superiori a quelli medi delle esportazioni mondiali; la specializzazione produttiva, cioè i prodotti in cui l’Italia detiene una posizione di assoluta leadership, con una quota sulle esportazioni mondiali pari almeno al doppio della quota di mercato occupata dai prodotti Made in Italy agroalimentari nel loro complesso; la diffusione nel mondo, intesa come numero di Paesi raggiunti per valutare la notorietà delle produzioni agroalimentari italiane; le imitazioni dei nostri prodotti, valutando in particolare quelli che sul mercato degli Stati Uniti detengono nel loro segmento una quota di almeno il 10% a scapito del prodotto vero italiano. Con il nuovo paradigma di Nomisma, ne è convinto Castiglione, si supera l’empasse nel quale ci si dibatte da anni su che cos’è Made in Italy (origine delle materie prime contro capacità di trasformare) e questo permette di pensare alle strategie che valorizzino raggruppamenti omogenei di prodotti. Rispetto all’andamento generale del settore, i comparti che registrano incrementi dell’export maggiori sono quelli che puntano su segmenti di mercato di fascia alta; il valore delle esportazioni del Made in Italy Top Price (cioè di quelli che sul mercato mondiale spuntano prezzi del 50% superiori a quelli medi delle esportazioni mondiali) è, infatti, aumentato del 26,8% tra il 2002 e il 2006 mentre, nello stesso periodo, la crescita complessiva del settore si è fermata al 14,6%. Si tratta di insaccati e prosciutti, preparazioni a base di carne e di pesce, formaggi stagionati, grattugiati e freschi, riso lavorato, aceti, ortaggi, ma anche caffè, cacao e derivati del cacao per il quali un peso importante è rappresentato dalla forza del marchio commerciale che il accompagna. I prodotti che secondo la nuova declinazione proposta da Nomisma hanno invece un peso maggiore sull’intero made in Italy sono quelli legati alla specializzazione produttiva (41,7%) e quelli con un alto grado di diffusione (immagine) sui mercati internazionali (40,7%). Fra i primi oli di oliva, pasta, gelati, vini, aceti, conserve di pomodoro, mele, pesche, formaggi freschi e grattugiati, insaccati e prosciutti. Fra i secondi pasta, prodotti da forno, vini, conserve di pomodoro (seconde dopo la pasta nella categoria dei prodotti più imitati), riso lavorato, salse e condimenti, formaggi stagionati, insaccati e prosciutti. Quanto rilevato da Nomisma viene confermato anche dall’indagine, sempre svolta per Agrifood, sulle prospettive dell’agroalimentare veronese, realizzata attraverso un questionario somministrato a un campione rappresentativo di aziende. Anche per gli operatori della provincia leader nell’export agroalimentare con 1,4 miliardi di euro nel 2006 (preceduta solo da Cuneo, ma perché sul quel territorio ha la sua sede una multinazionale dell’alimentare), il primo degli ostacoli alla crescita sui mercati d’oltre confine è la mancanza di un’adeguata promozione. Lo ha testimoniato anche Michele Bauli, presidente Raggruppamento Agroalimentare Veneto, il quale ha affermato che «bisogna rafforzare il marchio Made in Italy e le istituzioni devono dare gli strumenti per conoscere i partner giusti sui mercati esteri». «Questa nuova chiave conoscitiva è messa a disposizione da Fiera di Verona con Agrifood per essere sempre più strumento di marketing per le imprese e di servizio per il sistema Paese – afferma Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere –. Grazie alla lettura innovativa che ne esce, le politiche di promozione del Made in Italy possono finalmente focalizzare le risorse per gruppi di prodotti omogenei in termini di posizionamento o per fasce di mercato che si vogliono raggiungere. Questo permetterà di diventare più efficaci». Del resto – ha detto Ersilia Di Tullio di Nomisma – “è sui mercati esteri la possibilità delle imprese italiane di crescere e aumentare il proprio fatturato».