Spesa Pubblica: l’Italia spreca ogni anno 26 miliardi per la struttura centralista dello Stato. La ricerca dell’UnionCamere del Veneto
Uno spreco di denaro pubblico che si potrebbe arginare, un’errata perequazione che danneggia le Regioni più virtuose, un’allocazione delle risorse umane e finanziarie delle Amministrazioni pubbliche che rallenta lo sviluppo del Paese. Eppure la soluzione a questi problemi ci sarebbe: il federalismo fiscale. [//] Su questo ed altri temi si è dibattuto alla presentazione del quaderno di ricerca “Spesa pubblica e federalismo – Allocazione delle risorse umane e finanziarie ed efficienza delle Amministrazioni pubbliche”, tenutasi oggi presso Unioncamere del Veneto. La ricerca, promossa e realizzata da Unioncamere del Veneto e dal Consiglio Regionale del Veneto nell’ambito dell’Osservatorio sul federalismo e la finanza pubblica, con il contributo dell’Assessorato regionale alle Politiche economiche e istituzionali, vuole approfondire il tema della spesa pubblica e delle sue conseguenze sulla competitività delle imprese, in una linea di continuità con lo studio presentato nel giugno 2007 dal titolo “I costi del non federalismo”. “Il primo obiettivo istituzionale di Unioncamere del Veneto – spiega Federico Tessari, presidente di Unioncamere del Veneto – è creare un ambiente più favorevole allo sviluppo delle imprese e favorire la crescita del sistema economico regionale. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno di un sistema che valorizzi la sussidiarietà, le autonomie regionali e locali, il federalismo, ma soprattutto che abbia una Pubblica amministrazione che funzioni. Mettiamo a confronto la nostra Pubblica amministrazione con quella della Germania, nostro buyer e competitor che rappresenta il primo mercato di sbocco dell’export veneto con circa 6 miliardi di euro, cioè il 13%, su un totale dell’export di 46 miliardi di euro. Usando due parametri di confronto, spesa per i consumi intermedi (esclusi i salari) e la concentrazione di personale pubblico rispetto al totale della popolazione, l’Italia potrebbe ottenere un risparmio nella spesa pubblica di quasi due punti percentuali del Pil. Una cifra pari a più di 26 miliardi di euro l’anno. Lo stesso confronto rivolto alla Spagna ci dice che potremmo risparmiare 13,8 miliardi di euro” [//]. “La spesa pubblica in Germania non solo è nettamente inferiore in valori assoluti – continua il presidente Tessari – , ma presenta anche una migliore allocazione: solo il 31,1% è spesa rigida, mentre ben il 68,9% è spesa di intervento, quindi per investimenti. A differenza dell’Italia dove ben il 43,8% è spesa rigida e solo il 56,2% è spesa di intervento”. Uno degli aspetti più disattesi dell’applicazione del federalismo fiscale e delle disposizioni previste dal Titolo V della Costituzione è quello relativo ai dipendenti pubblici: in Italia il 56% dei dipendenti pubblici lavora presso le Amministrazioni centrali, mentre il rimanente 44% è occupato nelle Amministrazioni periferiche (Regioni, ASL, Province, Comuni). L’Italia risulta così più centralizzata rispetto alla media dei principali Paesi dell’UE. In Germania solo l’11% del personale è impiegato nel Governo centrale, in Spagna il 38% (vedi Tab. 2). La riduzione della spesa pubblica italiana non si risolve, quindi, con la diminuzione del personale delle Province o comunità montane, rispettivamente l’1,7% e lo 0,2% del totale, bensì con un ridimensionamento del pubblico impiego centrale. Dal 2001 si è registrata una crescita del personale pubblico nelle Amministrazioni centrali del +1,6%, mentre nelle Amministrazioni locali si è segnato un incremento del +2,1%. La crescita dei dipendenti a livello locale non è stata quindi accompagnata da una contestuale riduzione dell’apparato pubblico centrale. “Gli enti periferici – sottolinea Tessari – gestiscono il 36-37% della spesa pubblica complessiva con circa il 42% del personale pubblico, mentre lo Stato centrale assorbe una quota pari al 24% delle risorse ma con oltre il 56% del personale disponibile”. (Vedi Tab. 3). Nel 2006 in Italia vi erano 5.716 dipendenti pubblici a tempo indeterminato ogni 100mila abitanti, in aumento rispetto al 2002. Singolare il caso delle Regioni a statuto speciale. Nonostante per queste sia prevista una minor presenza dello Stato centrale, nei territori più “autonomi” del Paese vi sono 3.295 dipendenti pubblici ministeriali ogni 100mila abitanti a fronte dei 3.089 nelle Regioni ordinarie. La spesa per il personale pubblico in Italia è pari all’11% del Pil, appena sopra la media europea (10,7%), in posizione intermedia fra i costi più elevati della Francia (13,1%) e quelli più contenuti della Germania (7,2%). Ma, mentre i principali Paesi hanno imboccato la via della riduzione, l’Italia ha accresciuto gli oneri per un valore pari a 0,5 punti di Pil. Nei Ministeri, tra il 2000 e il 2007, le spese per il personale sono cresciute più delle spese proprie (24% contro il 20%) e la voce del personale sta spingendo al rialzo la spesa pubblica: i compensi, tra il 2002 e il 2006, sono cresciuti del +5,5%, contro una spesa propria dei Ministeri che ha fatto registrare un +5,1%. Come già emerso nello studio “I costi del non federalismo”, l’Italia sconta un notevole ritardo nell’attuazione dei dettami della riforma del Titolo V, ma non solo. Anche sul sistema di perequazione fiscale l’Italia è ancora distante dagli altri Paesi federali. I dati dello studio mostrano che l’azione redistributiva operata dallo Stato italiano è di circa due volte più elevata di quella registrata in Spagna e tre volte di quella in Germania. Questa scelta comporta pesanti ricadute sulla capacità di spesa delle regioni più virtuose, come il Veneto, dove il residuo fiscale, cioè la differenza tra quanto i cittadini e le imprese pagano come imposizione fiscale e quanto viene speso nel territorio regionale, è di circa 11,5 miliardi di euro l’anno, circa 2.600 euro a testa per ogni cittadino veneto. “Una Pubblica amministrazione efficiente ed efficace è un fattore determinante per sostenere la competitività delle nostre imprese – conclude il presidente di Unioncamere del Veneto Federico Tessari -. E per quanto riguarda la pubblica amministrazione si deve ripartire dal principio metodologico del rasoio di Ockham, monaco inglese del XIV secolo: è inutile fare con più quando si può fare con meno”. Da un confronto del pubblico impiego per livelli di governo fra Italia, Comunità Autonome spagnole e Länder tedeschi, emerge che nel nostro Paese la composizione del pubblico impiego è rimasta pressoché immutata. In Spagna, al contrario, negli ultimi dieci anni le Comunità Autonome hanno sostituito l’apparato centrale e, attualmente, la maggioranza dei dipendenti pubblici lavora presso i livelli di governo periferici. In Germania, presso i Länder lavorano più dipendenti che nello Stato centrale, con una progressiva riduzione del personale pubblico . In Veneto vi sono 27,2 dipendenti pubblici centrali ogni 1.000 abitanti, mentre presso il livello regionale operano 12,7 occupati ogni 1.000 abitanti; in Catalogna, presso lo Stato centrale lavorano appena 4,4 dipendenti ogni 1.000 abitanti, mentre presso le Comunità Autonome operano oltre 21 addetti per ciascuno dei propri residenti. Le entrate per Veneto e Lombardia superano di poco i 2.000 euro per abitante, mentre le Comunità Autonome dei Paesi Baschi e della Catalogna possono beneficiare rispettivamente di 3.388 e 2.965 euro per abitante. Analogo discorso per i Länder tedeschi del Baden-Wurttemberg e della Baviera, con entrate di circa 2.700 euro procapite. L’Italia presenta la concentrazione più elevata di personale pubblico in rapporto alla popolazione: 61,8 dipendenti per ogni 1.000 abitanti; Spagna e Germania fanno registrare invece valori rispettivamente pari a 57,4 e 55,4 dipendenti ogni 1.000 abitanti. In Italia la spesa procapite per consumi intermedi è di 1.288 euro, superiore ai 1.130 euro della Germania e ai 1.251 della Spagna.