Nell’ormai insuperabile conflitto di poteri tra magistratura e politica, (se così si vuole sintetizzare pur in modo improprio), si esasperano le questioni di principio, si scomodano democrazia ed autoritarismo, si paventano attentati allo stato di diritto e si pongono poco le più semplici domande che dovremmo porci.[//] Tra la volontà del popolo legislatore e sovrano e la legge da lui stesso prodotta tramite il Parlamento che lo rappresenta, ci può essere una prevalenza assoluta dell’uno sull’altra? Può il legislatore, dotato di consenso popolare e di mandato a legiferare, operare legittimamente per modificare norme che – in modo diretto o indiretto – riguardano le istituzioni? È legittimo che un leader ed un governo possono vivere con il permanente ricatto di qualche pubblico ministero e di qualche giudice che gli impedisce di governare nella pienezza dei suoi poteri, nella dignità internazionale, nella libertà di decisione per il mandato popolare ricevuto? Ed è giusto che la norma, valida teoricamente in modo uguale per tutti i cittadini, subisca deroghe in favore di chi detiene ruoli istituzionali rilevanti? Se si, per quali motivi, con quale sostanziale ragion politica, che sia ed appaia legittima e sostanzialmente accettabile? Una materia così delicata deve potersi affrontare con grande serenità di giudizio, dimenticando la contingenza della cronaca che, nel caso dei processi, è durevole quanto la storia, con una logica istituzionalmente neutrale e generale. L’unico criterio che, al di fuori di qualunque polemica strumentale, pare ragionevole è quello un tempo definito della “ragion di Stato”, della prevalenza cioè degli interessi generali del Paese rispetto a quelli più particolari, pur se apparentemente altrettanto legittimi; la prevalenza cioè dell’interesse prevalente. Per fare questa scelta è necessario proprio un grande senso dello Stato, una capacità di essere al di sopra degli interessi politici, partitici, elettorali contingenti e di consentire al mandatario del popolo definito sovrano di esercitare la sua funzione. Non dovrebbe essere argomento da mercanteggiare: deve valere per tutti, per il Paese. Se così fosse saremmo un paese normale, con una giusta, equilibrata, responsabile ma operante divisione dei poteri, con l’esercizio virtuoso del reciproco controllo, della responsabilità personale di ognuno nell’esercizio delle proprie funzioni. Uno stato di diritto anziché, come avviene, un rivendicato diritto sullo Stato.