“Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura” Forlì, Musei San Domenico
Antonio Canova, celebrato scultore, fu non meno apprezzato pittore. Dai contemporanei, a Roma veniva accostato a Raffaello, per quella sua ricerca di bellezza ideale che ne caratterizza le opere, mentre a Venezia, [//] quale straordinario interprete della “bella natura”, lo si confrontava con Tiziano, considerandolo l’ultimo erede dei fasti della scuola pittorica veneziana. Canova aveva un affezionato segretario (e biografo) personale nel forlivese Melchior Missirini, della famiglia del quale l’artista fu frequentemente ospite nella cittadina romagnola, culla, con tutta la regione, della cultura neoclassica, testimoniata tuttora nei musei, nelle chiese e in vari siti urbani – di Canova basti ricordare la stele funeraria di Domenico Manzoni nella chiesa della Trinità a Forlì, ma anche gli affreschi di Felice Giani e dei suoi allievi, le architetture di Giuseppe Missirini, fratello di Melchior, la statuaria funebre e lo stesso cimitero monumentale di Forlì, che fanno da cornice e spesso da cronologica anticipazione alle testimonianze lasciate dal Maestro – ed esprimendo in letteratura quella Scuola Classica Romagnola che ebbe nel ravennate di Alfonsine, Vincenzo Monti, il suo nume tutelare e la sua più nobile espressione. Alla riscoperta di queste radici culturali del territorio, in serrato dialogo tra l’opera scultorea e quella pittorica dell’artista veneto e dei suoi contemporanei italiani e stranieri, la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, in collaborazione con il Comune di Forlì, ha promosso la mostra “Canova. L’ideale classico tra scultura e pittura”, curata da Antonio Paolucci, Fernando Mazzocca e Sergéj Androsov, con lo scenografico, spesso di impatto spettacolare, allestimento di Wilmotte e Alessandro Lucchi, nei Musei San Domenico fino al 21 giugno. Con 160 opere esposte – marmi, gessi, bassorilievi, bozzetti, dipinti, disegni – si configura come la più completa, dopo quella di Venezia del 1992. I grandi capolavori, raggruppati per tema in otto sezioni – il rapporto con l’antichità, la religione, il culto del Canova, la fortuna di uno specialissimo soggetto, Ebe, assurta a simbolo per eccellenza di virginale giovinezza e realizzata con strepitosa tecnica tanto da divenire prototipo in scultura di movimento e volo simulato, il mito di Psiche, tra amore celeste e amore terrestre, la danza, la contemplazione della morte, la gloria di Canova e il primato della scultura – nel continuo gioco di rimandi tra linguaggi di arti diverse e autori diversi, ma non estranei, assumono ancor più incisività espressiva, in una reciproca esaltazione di peculiarità estetiche e ispirative. Emblematici, tra tutti, per l’assunto specifico canoviano della mostra, i soggetti di Ebe (tra l’altro, spettacolarmente accostata alla ellenistica Danzatrice di Tivoli e al Mercurio volante del Giambologna) e della Maddalena (opera amatissima dai romantici, che ne coglievano il sensuale abbandono e l’intensità di una sofferta intima meditazione). Queste opere, così diverse per genere e impostazione, non riconducibili ad un preciso modello antico, ma caratterizzate entrambe dall’inserimento di dettagli in bronzo dorato, evocanti antichi esemplari crisoelefantini, e da una leggera coloritura delle parti epidermiche, in contrasto luminoso e cromatico con i panneggi delle vesti, esprimono al meglio un evidente gusto pittorico. Preziosi, inoltre, i contributi raccolti nel bel catalogo della SilvanaEditoriale, curato dagli stessi curatori della mostra con Stefano Grandesso e Francesco Leone.