Fin dai primi passi sul grande scalone della Gran Guardia, si viene accolti da un seducente flusso di note da celebri brani d’opera. Giusto per entrare senza indugi nel mondo creativo di Camille Corot, che ascoltando musica, soprattutto lirica, amava dedicarsi alla sua pittura. [//] Tutti brani accuratamente scelti dagli esperti di Fondazione Arena per l’esposizione a tema dedicata fino al 7 marzo a “Corot e l’arte moderna. Souvenirs et Impressions”, allestita, con interessanti effetti di ambientazione, da Alba Di Lieto e Nicola Brunelli per il Comune di Verona, che l’ha organizzata con la collaborazione eccezionale del Museo del Louvre, avvalendosi della curatela del massimo esperto della materia, Vincent Pomarède, affiancato nella direzione da Paola Marini. E’ il primo progetto espositivo frutto della sinergia tra l’amministrazione scaligera e il museo parigino. Pensato specificamente per Verona, presenta un taglio inedito e un’importante valenza pedagogica, riscoprendo con spettacolarità elegante e non gridata Corot come “l’ultimo dei classici e il primo dei moderni”, per modalità tecniche e scelte iconiche, sia nella rappresentazione della figura umana che del paesaggio; quest’ultimo assurto a motivo primario della mostra, che ne dà significativi esempi dell’evoluzione di genere nel periodo considerato. L’esposizione, ricca di circa un centinaio di capolavori (di cui una trentina di Corot), dal Seicento alle avanguardie europee, da Poussin a Picasso, provenienti in prevalenza dal Louvre e dal museo di Reims, ma anche da una cinquantina di altre realtà internazionali, mette in stretto dialogo le opere del Maestro parigino con quelle degli artisti che da lui furono influenzati e da cui egli stesso fu ispirato. Il confronto evidenzia uno stile sobrio e luminoso che Corot (Parigi 1796-1875) maturò in un percorso iniziato (già ventiseienne, avendo prima lavorato quale commerciante di tessuti seguendo le orme paterne) in ambito neoclassico, alla scuola dei pittori Michallon e Bertin, emuli di Poussin, ma ben presto contagiato da una più naturalistica sensibilità verso ambienti e figure umane – quale andava elaborando anche la scuola di Barbizon -, con effetti cromatici luminosi, attenti al mutare del tempo e delle stagioni, e tecnica più libera, tanto da mettere in risonanza i suoi paesaggi con quelli degli inglesi Constable e Turner. Determinanti per lui furono però soprattutto i viaggi in Italia (1825-28, 1834, 1843), a Roma e nella campagna laziale, a Venezia e sul lago di Garda, che gli fecero scoprire un ruolo sempre più significativo della luce e del colore, ulteriormente enfatizzato durante i soggiorni svizzeri, terra d’origine della madre, orientando Corot verso orizzonti sempre più romantici. Ma le molteplici sfaccettature linguistiche della sua opera vanno ancora oltre, con intuizioni anticipatrici che lo resero punto di riferimento, a vario titolo, anche per fauves, simbolisti e cubisti. Se queste sono le molte valenze estetiche, ciò che tuttavia rende ancor più singolare il pittore nel suo tempo è la straordinaria capacità di cogliere, come un artista del Rinascimento (persino oltre un certo gusto scenografico dell’impianto, riflesso delle sue assidue frequentazioni dei teatri, specialmente d’opera) l’essenza profonda – energetica e magica – della natura, vissuta con panica empatia e colta nei suoi grandi valori archetipici. La stessa straordinaria capacità che si riscontra nelle intriganti figure di donna, assurte, come antiche dee, ad emblema stesso della femminilità o, pervase di assorta melanconia, a mistiche contemplatrici del divino attraverso la lettura o la musica. Tutto questo trova lucida esemplificazione nelle quattro grandi sezioni a tema della mostra, con numerose sottosezioni, introdotte da panelli informativi, e nei mirati raffronti del percorso didatticamente ben strutturato – comprende, tra l’altro, un angolo per gli incontri con le scolaresche e le proiezioni educative – ma, ad un tempo, anche flessibilmente suscettibile di libere varianti. Di pregio, inoltre, il catalogo edito dalla Marsilio a cura di Vincent Pomarède.