La Confartigianato di Verona si schiera con i lavoratori del Centro Ricerche Glaxo Smith & Kline di Verona, ma lamenta il cosiddetto “doppiopesismo” utilizzato per creare “casi” di serie A e di serie B nell’affrontare la crisi economica attuale e le sue conseguenze sul mondo del lavoro e sul tessuto sociale ed economico.[//] “Esprimiamo la massima solidarietà alle persone colpite dall’annuncio di chiusura del centro Glaxo di Verona – afferma il presidente dell’Associazione artigiana, Ferdinando Albini -. Notizie di questo tipo preoccupano tutti, perché non si parla solo di numeri, di altre 550 unità lavorative da aggiungere nel calcolo delle statistiche che riguarderanno l’occupazione in crisi di questo periodo, ma si tratta di uomini e donne, di famiglie, che rischiano di dover affrontare le difficoltà che vengono generate quando viene meno il lavoro, il sostentamento. Al loro fianco mettiamo anche i posti dell’indotto legato alla Glaxo che sono a rischio, genericamente identificabile con piccole e medie imprese del territorio che subiranno un’eventuale e non auspicabile conclusione negativa della vicenda.

“Ciò che ci amareggia – continua Albini –, come veronesi, come piccoli imprenditori, come lavoratori e allo stesso tempo come creatori di posti di lavoro, è il silenzio e il disinteresse cronici nei confronti delle PMI e dell’artigianato, in contrapposizione con il clamore per le difficoltà delle aziende di grandi dimensioni”. Solo alcuni giorni fa la Confartigianato di Verona diede risalto ai dati sull’artigianato scaligero contenuti nel rapporto Movimprese 2009 di Unioncamere, sottolineando le 2.615 cessazioni, a fronte di sole 1.977 iscrizioni alla Camera di Commercio, con un saldo negativo di 638 imprese artigiane in meno. “Di quante persone vogliamo parlare?” si chiede il presidente della Confartigianato di Verona. “Non credo di esagerare nell’ipotizzare conseguenze dirette per alcune migliaia di lavoratori e per le loro famiglie. Per costoro non si sono visti o sentiti appelli, non si sono mossi amministratori pubblici e politici, non sono stati aperti tavoli di confronto, non si è parlato di interventi governativi. L’opinione pubblica, praticamente, non ne ha sentito parlare, se non in maniera marginale, magari trasformando dati così drammatici nella solita ‘lamentatio’ proveniente dal popolo delle partite IVA, che pare non avere uguale dignità, assieme ai suoi lavoratori, rispetto ai colossi che possono permettersi di chiudere bottega, in alcuni casi addirittura in assenza di vere criticità economico-finanziarie, ma solo per motivi di convenienza legati alla delocalizzazione”. L’artigianato veronese conta ancora su circa 28.700 imprese attive, che sono però alle prese con grosse difficoltà. “Cosa accadrebbe – si domanda Ferdinando Albini – se la presunta ripresa sulla quale gli analisti stanno pontificando in queste settimane tardasse ancora ad arrivare? Quanti posti di lavoro andrebbero persi? Nel frattempo, ci raccontano che la Fiat è il maggior produttore di auto a livello nazionale e intanto chiude gli stabilimenti in Italia, per andare a realizzare le nostre macchine all’estero. Anche la Glaxo se ne andrà, non solo da Verona ma dal territorio nazionale? Si chiama delocalizzazione e non colpisce solo gli addetti diretti, ma anche le piccole imprese della subfornitura, assieme ai loro dipendenti”. Si torna a parlare di incentivi e interventi governativi, “ma c’è qualcuno – sono le parole di Albini – che riesce addirittura a negare di averne ampiamente usufruito in passato. Intanto, un settore come quello delle costruzioni, che non coinvolge solo le imprese edili, ma anche gli artigiani del legno, dell’installazione d’impianti elettrici e termoidraulici, della metalmeccanica e di altre categorie, per un totale approssimativo di circa 14 mila aziende solo a Verona, risente in maniera pesante della congiuntura economica, con migliaia e migliaia di posti di lavoro in pericolo o già andati persi, nel silenzio o nella sottovalutazione generale del fenomeno”.