“L’ennesima gravissima tragedia legata al maltempo e al dissesto idrogeologico ci impone di ragionare concretamente e rapidamente sugli effettivi interventi necessari a mettere in sicurezza la nostra regione e la popolazione che [//]purtroppo, sempre più spesso, a causa dei fenomeni alluvionali e franosi, saranno esposti al rischio – dichiara il presidente regionale di Legambiente Veneto Michele Bertucco -. Abbiamo un ottimo sistema di Protezione Civile ma è fin troppo evidente che non possiamo continuare ad aspettare di arrivare all’emergenza per intervenire contando solo su questa grande risorsa. Il cambiamento del clima ci porterà ad affrontare sempre più spesso eventi metereologici imprevisti ed estremi per questo dobbiamo considerare il governo del territorio la più urgente opera pubblica da fare con interventi strutturali e investimenti all’altezza della situazione in cui versa la nostra regione”. Fino ad oggi all’aumentare delle spese per una presunta messa in sicurezza è corrisposta una contemporanea crescita delle spese in interventi straordinari per alluvioni. Gli interventi il più delle volte hanno causato una dissipazione di risorse economiche, senza essere adeguati alla riduzione del rischio idrogeologico complessivo. Riqualificazione del territorio, diminuzione del consumo di suolo, delocalizzazione dei beni esposti al rischio devono invece essere e parole d’ordine nel piano di messa in sicurezza del territorio. Solo così sarà possibile invertire il processo di sfruttamento e consumo di territorio, prendendo atto che la sicurezza, fruibilità e bellezza di un bacino idrografico dipendono prima di tutto dagli usi cui si destina. La ricetta proposta da Legambiente prende in considerazione gli interventi possibili sul reticolo idrografico minore, su quei fiumi, torrenti e fossi che sembrano rappresentare oggi la vera emergenza dell’Italia e del Veneto. La situazione in Veneto – da Ecosistema Rischio 2010 Sono 161 i comuni del Veneto in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico individuati dal Ministero dell’Ambiente e dall’Unione delle Province Italiane nel 2003, il 28% del totale (di cui 41 a rischio frana, 108 a rischio alluvione e 12 a rischio sia di frane che di alluvioni). Sebbene tali dati dimostrino come in Veneto la porzione di territorio esposta ad elevato rischio sia minore in confronto ad altre regioni italiane è evidente che il pericolo di frane e alluvioni non può essere sottovalutato. Le zone esposte a rischio risultano anno dopo anno più fragili sia per gli effetti dei mutamenti climatici, a causa dei quali le precipitazioni piovose sono sempre più intense e concentrate in brevi periodi, e provocano un aggravamento del pericolo di piene, allagamenti ed esondazioni dei corsi d’acqua, sia per la gestione poco attenta del territorio. Se osserviamo le aree vicino ai fiumi, salta agli occhi l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni ed insediamenti industriali e zootecnici. Gli interventi di messa in sicurezza continuano spesso a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci. Inoltre, troppo spesso non viene realizzata una corretta manutenzione di corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica. L’antropizzazione sempre più pesante delle zone a rischio amplifica il pericolo che si verifichino danni anche gravi, in caso di fenomeni di piena dei corsi d’acqua. Il primato negativo del rischio idrogeologico nel territorio veneto è detenuto dalla provincia di Venezia in cui aree ad elevato rischio sono presenti nel 50% dei comuni. Oltre a tanti piccoli comuni, anche quattro dei sette capoluoghi di provincia veneti sono considerati a rischio idrogeologico dalla classificazione del Ministero dell’Ambiente e dell’UPI. Non sono classificati a rischio idrogeologico i comuni di Venezia, Rovigo e Treviso. Le proposte di Legambiente Veneto (già presentate agli enti pubblici negli scorsi anni): – Adeguare lo sviluppo territoriale alle mappe del rischio. Intervento necessario per evitare la costruzione nelle aree a rischio di strutture residenziali o produttive e per garantire che le modalità di costruzione degli edifici tengano conto del livello e della tipologia di rischio presente sul territorio. – Ridare spazio alla natura. Restituire al territorio lo spazio necessario per i corsi d’acqua, le aree per permettere una esondazione diffusa ma controllata, creare e rispettare le “fasce di pertinenza fluviale”, adottando come principale strumento di difesa il corretto uso del suolo. – Torrenti e piccoli fiumi, sorvegliati speciali. Sollecitare i diversi livelli istituzionali di governo affinché sia dedicata una particolare attenzione all’immenso reticolo di corsi d’acqua minori, visti gli ultimi avvenimenti in cui proprio in prossimità dei piccoli fiumi e torrenti si sono verificati gli eventi peggiori e sono stati compiuti gli scempi più gravi. – Favorire la diffusione di corrette pratiche di manutenzione ordinaria del territorio mediante interventi mirati e localizzati, rispettosi degli aspetti ambientali. – Convivere con il rischio. Applicare una politica attiva, integrata tra i diversi livelli istituzionali competenti, per la “convivenza con il rischio” con sistemi di allerta, previsione delle piene e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione. – Gestire le piogge in città. Bastano oggi eventi piovosi non straordinari per causare allagamenti e provocare danni rilevanti. Allagamenti che purtroppo causano a volte anche delle vittime. Per questo la gestione delle acque di pioggia è uno dei grandi problemi ambientali anche in città da risolvere attraverso un adeguamento delle reti di raccolta coniugando sicurezza e recupero della risorsa idrica. Legambiente chiede agli Enti locali, a partire dai Comuni di creare un’alleanza che coinvolga tutti gli attori in gioco, lo Stato, le Regioni, le Autorità di bacino, ma anche le associazioni per programmare per tempo gli interventi di prevenzione e difesa da frane e esondazioni. La vera emergenza, infatti, è il superamento della cultura degli interventi post-disastri. Gli enti gestori del territorio devono fare, infatti, un generale ‘mea culpa’, impostando una gestione organica e sistemica del suolo in tutti i suoi aspetti, urbanistici, ambientali, sociali. E’ questa la vera grande opera pubblica da chiedere al Governo, al posto di dannosi e inutili miraggi come il ponte sullo stretto di Messina.