Pubblichiamo questa testimonianza particolare che ci ha fatto pervenire Gianantonio Farinelli

Era una Domenica pomeriggio di qualche anno fa, io e Monica eravamo appena arrivati in centro a Verona per il solito giretto pomeridiano tra le vetrine di via Mazzini, appena entrati in piazza Brà abbiamo notato un ingombrante oggetto parcheggiato davanti al Liston. Ci siamo avvicinati, un vecchio e arrugginito vagone merci con le piccole finestrelle in alto chiuse dal filo spinato, su un fianco campeggiava nel rossastro della ruggine una stella di David tirata con il gesso. Era uno dei vagoni merci usati dai nazisti per deportare gli ebrei nei campi di sterminio di Aushwitz, Mauthausen, Birkenau, Belzec, Treblinka…
Per un pò ci siamo soffermati in silenzio a contemplare quel vagone che sembrava essere spuntato da solo dalle nebbie del tempo, dal gelo delle nevi di Aushwitz… Echi di voci terrorizzate all’inteno sembravano ancora risuonare dalle lamiere, la mia immaginazione scorgeva visi deperiti e pallidi affacciarsi da quelle finestrelle, in passiva attesa dell’ineluttabile…
Alcuni mazzi di fiori erano stati lasciati lì, appoggiati al vagone da mani sconosciute, orfane di un ultimo abbraccio che non sono mai riuscite a dare, di visi che non hanno più potuto stringere o che non hanno mai potuto conoscere. Accanto ai fiori foto in bianco e nero sbiadito e due righe per ricordare… “Giovanni ti ho amato per tutta la vita e ti amerò per tutto il resto che mi rimane da vivere, spero un giorno di poterti riabbracciare… tua Carmela”, “Ciao nonno Sante, in questo giorno ti ricordiamo tutti…I tuoi figli e i nipoti che non ti hanno mai conosciuto, Lucia, Matteo, Cristiano, Luigi… Ti vogliamo bene…”.
Un vecchietto magrolino si avvicina in bicicletta, si ferma, si toglie il cappello sistemandosi la canuta chioma con un colpo di mano, si aggiusta gli occhiali sul naso e girandosi verso di noi fa “…ci sono stato anch’io sopra uno di questi, è stato tanto tempo fa… Ci stavano portando al campo di… Dentro eravamo stipati come bestie, c’era gente che si sentiva male, non mangiavamo da giorni, era così pieno che non potevamo che restare in piedi, per ore, per giorni, in mezzo ai nostri stessi escrementi, dovevamo farli lì, non c’era altro modo.. C’era una puzza che non si poteva respirare… Ad un certo punto il treno si è fermato in mezzo a un campo di grano, era una bellissima giornata…”.
Penso “…ma perchè mi sta raccontando queste cose, a me che sono uno sconosciuto…”, ovvio, il bisogno di parlarne gli ribolliva dentro come un’oscura nebulosa, tutto quel dolore doveva trovare il modo di uscire fuori, condividendolo con qualcuno forse quel ricordo sarebbe stato meno pesante, meno terrificante, meno orribile… doveva dirlo a qualcuno!
Intanto intorno a noi sie era raccolta una piccola folla di gente che attonita, silenziosa e impietrita ascoltava il racconto di quel vecchio. “…Ad un certo punto qualcuno ha aperto la porta del nostro vagone… Perchè sono furbi quelli lì, lo sapevano…”, in un istante il mio cervello inconsapevole realizza il diabolico piano e ci arrivo anch’io “…ma certo!” penso, “…così la gente affamata scenderà per mangiare il grano!”. Il vecchio prosegue “…appena aperte le porte tutti si precipitavano in massa giù dai vagoni e si avventavano sulle spighe di grano per mangiarle, io cercavo di fermarli, gli urlavo disperatamente di tornare sui vagoni, perchè ci avrebbero ammazzati tutti, ma avevano troppa fame!… Non capivano più niente… E te lo dico io che sono furbi, lo hanno fatto apposta quelli lì…”, intanto mi guardavo intorno, il gelo più profondo era calato su di noi, dai visi tesi e attoniti delle persone traspariva, tutti avevamo già capito.
Il vecchio con voce rotta prosegue “… allora il comandante ci urla <>, io parlo tedesco, e allora gli rispondo <>, lui mi fa (il vecchio ce lo dice in tedesco e poi ci traduce) <>. Il vecchio mentre parla scoppia in lacrime, io a fatica trattengo il pianto, intorno a noi molti ormai stanno piangendo come se ai piedi di quel vagone quel giorno ci fossero stati anche loro, Monica si stringe a me in un pianto dirotto che le inonda il viso.
Il vecchio singhiozzando prosegue “…allora io mi sono messo a urlare <<tornate sul vagone!…tornate su!… questi non scherzano, ci ammazzano tutti!… tornate su vi scongiuro!… Ma niente, loro continuavano a mangiare… E allora hanno aperto il fuoco…”, il vecchio si interrompe, per qualche secondo si abbandona al pianto e alla disperazione del ricordo, poi si riprende quanto basta per continuare “…si sono messi a sparare coi loro mitra… rattattattatta!!… Gli altri cadevano, uno dopo l’altro sparivano in mezzo alle spighe di grano… Li hanno fatti fuori tutti, tutti… Non ne è rimasto in piedi neanche uno…”.
Il vecchio si pulisce gli occhiali bagnati di lacrime, con l’astio disperato di chi a distanza di 60 anni non può ancora perdonarsi di non aver potuto fare nulla, “…poi il comandante mi dice <<vai là e controlla che siano tutti morti… e li ho pensato <>. Io non volevo andare, avevo paura, e lui mi diceva <> e allora sono andato… Erano tutti lì, riversi a terra in quel maledetto campo, ce n’erano dappertutto, e io andavo vicino, cercavo di capire se erano ancora vivi, ma non riuscivo a guardarli in faccia, non potevo guardarli in faccia…”.
Monica mi tira il braccio, non può più sopportare tanto dolore, contriti e profondamente turbati riprendiamo il nostro cammino nel più totale silenzio.
Mille documentari, mille speciali in televisione, agli orari più assurdi, mille racconti, mille libri… Ma le parole di quel vecchio non riuscirò mai a dimenticarle, per tutta la mia vita.
Non dimentichiamo “se vogliamo che tutto questo non accada di nuovo“… Ma in realtà accade ancora, tutti i santi giorni…
Dalla parte delle vittime… tutti i santi giorni…