«Non senza travaglio, votiamo la fiducia». Peggio di così non poteva finire. Peggio degli insulti che la canaglia gli ha rivolto oggi all’uscita del Senato della Repubblica. Peggio della defezione dei suoi più stretti collaboratori. L’ennesima rottura con una componente del suo rassemblement. Peggio dell’esclusione dal Senato che oramai viaggerà veloce, avendo visto che il Cavaliere non ha più truppe attorno a sé a fare quadrato. Peggio dell’ordine di arresto che il primo procuratore a caccia di titoli da prima pagina richiederà da Napoli, Milano o Bari. Non è l’8 settembre, è Caporetto. Col sospetto fondato che la sera prima dell’assalto gli alti ufficiali dell’una e dell’altra parte trattavano il passaggio dei vincitori attraverso le linee lasciate senza difesa.[//] Forse, come la Fenice, riuscirà a risollevarsi anche da questa debacle. Ma se così non fosse non poteva esserci fine peggiore. Nel dileggio. Per questo, senza ironia, oggi dico: Salvate il soldato Berlusconi. Da se stesso. Dai suoi consiglieri, dai suoi avvocati, dalle sue virago e dalle sue olgettine. Non buttiamo via così due decenni di storia collettiva. E il primo passo deve farlo lui adesso. Deve prendere in mano quel discorso da statista che in queste settimane non ha mai voluto scrivere. Per dire, dal Senato, per l’ultima volta, al suo Paese che anche da Poggioreale lui sarà uno statista, che per amor di Patria accetterà un verdetto che considera ingiusto, iniquo e bugiardo. Che da innocente pagherà un alto prezzo personale per salvaguardare le istituzioni e ridare pace al Paese che ama. E’ in questi momenti che uno statista blocca la cifra della propria opera. E’ a Gettysburg che Abramo Lincoln fissò per sempre il senso della guerra civile. E’ al Senato che può (e deve) farlo ora Silvio Berlusconi.