(di Marco Marturano)
Don Don. Suona la penultima campana prima dell’ultimo round delle lunghe e intense campagne elettorali per i Comuni che celebreranno il loro primo momento della verità. L’ultimo round sono le due decisive settimane che ci portano al 5 giugno dove tanti destini faranno i conti con i numeri veri delle urne elettorali.
Ma prima di arrivarci a giocarsi quel round molti candidati sindaco sono alle prese con questi giorni che precedono l’ultimo miglio e nei quali scatta il mitico black out nella pubblicazione dei sondaggi che indicano la rotta per giocarsi appunto la corsa verso il traguardo del primo turno.
Viene quindi facile cogliere questa opportunità per scorrere le previsioni per il 5 giugno su decine di siti e di quotidiani prima che AGCOM impedisca di vedere numeri di sondaggi su qualsiasi mezzo di comunicazione di massa.
E leggere questi numeri oggi ci porta ad una grande scoperta che supera qualsiasi specificità tra Napoli e Torino, tra Trieste, Bologna o Cagliari.
E’ la scoperta che almeno nelle grandi città siamo entrati in una fase storica per i sindaci italiani decisamente diversa. E’ la fase in cui il sindaco uscente in corsa per il secondo tempo della sua partita per cambiare la città è tendenzialmente costretto a giocarsi la campagna per la rielezione quantomeno al ballottaggio. Certo, la legge delle amministrative con l’elezione diretta del Sindaco e con il ballottaggio ci piace talmente tanto che ha ispirato anche l’Italicum con il quale voteremo nelle prossime elezioni politiche.
Ma questa legge per le amministrative sin dalla sua prima applicazione nel 1993 aveva sostanzialmente prodotto un suo corollario.
Ovvero che il sindaco che si ricandida, quello che gli americani chiamano l’”incumbent”, è il netto favorito della sua seconda campagna. Al punto da essere quasi sempre eletto al primo turno o largamente al ballottaggio. E potremmo citare tanti nomi a sostegno di questa regola implicita dal 1997 (seconda elezione con la legge del 1993) al 2015.
Oggi questa regola è entrata in crisi.
La maggior parte dei sindaci in corsa per il secondo mandato sono indicati dai sondaggi al ballottaggio e non proprio sempre con secondi turni semplici e scontati. Insomma non funziona più in modo automatico il vantaggio di posizione che ha fatto largamente rieleggere Massimo Cacciari, Francesco Rutelli, Enzo Bianco, Leoluca Orlando, Antonio Bassolino, Falcomatà (padre), Gabriele Albertini e poi ancora Flavio Tosi, Flavio Zanonato, Sergio Chiamparino, Marco Filippeschi, Pericu, Leonardo Domenici, Riccardo Illy e molti altri.
E la regola dell’”incumbent” favorito era talmente evidente che metteva ancora più in risalto la legge opposta per il Parlamento, con le maggioranze che dal 1994 ad oggi non sono mai state vincenti per due elezioni consecutive (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Bersani/Letta/Renzi).
Perché è cambiato il vento per molti sindaci al secondo giro? [//]
Naturalmente sono tante le possibili ragioni e molte sono legate alle situazioni singole. Ma in comune ci sono almeno tre fenomeni.
In primo luogo il logoramento progressivo dell’immagine della politica nazionale ha determinato un sovraccarico di aspettative verso i sindaci, rimasti il riferimento istituzionale più vicino e quindi con più responsabilità agli occhi dei cittadini. Responsabilità e aspettative in direzione ostinata e contraria alla crisi economica che ne ha reso sempre più difficile il lavoro, aumentando le problematiche sociali e le richieste di interventi di regia per il rilancio e di offerta di servizi. Questa situazione ha quindi complicato di molto la capacità espansiva nel consenso che invece era una regola in precedenza e tende a mandare al ballottaggio i sindaci uscenti.
Seconda possibile ragione è il nuovo contesto politico, con la crescita del Movimento 5 stelle con un ruolo importante anche quando non rappresenta la seconda forza (come quest’anno a Torino) o addirittura la prima (come a Roma) . Per la matematica un soggetto che recupera consensi dall’astensionismo, ma nondimeno dai delusi di centrosinistra e centrodestra, rende più complicato conquistare il 50% più 1 in un assetto tripolare quantomeno. Se poi si aggiungono candidati attrattivi fuori dai tre poli e magari fuoriusciti dal centrosinistra o dal centrodestra il ballottaggio è ancora più logico.
Infine la terza possibile causa è anche nel taglio e nel rigore imposti ai sindaci dalle ultime finanziarie (da Berlusconi/Tremonti a monti ai governi Letta e Renzi). Tagli e rigore che hanno determinato una minore capacità di spesa per i sindaci sia in servizi e investimenti in azioni di cambiamento della città che in narrazione e condivisione civica del cambiamento. E senza questi anche la crescita del legittimo consenso tra i cittadini ha sicuramente meno spazio.
In conclusione la nuova fase dei sindaci è quella che aggiunge alla difficoltà di governare le città l’ancora maggiore difficoltà di “rigovernare” dopo aver “rivinto” le elezioni. In questa fase vale naturalmente anche un cambio di parametri nel giudicare quindi il risultato dei sindaci uscenti alle amministrative del 5 giugno.
I sindaci che riescono ad essere rieletti al primo turno passano da una valutazione di un risultato quasi scontato alla legittima considerazione di un “miracolo” per meriti straordinari sia come amministratori che in campagna elettorale. I sindaci che vengono rieletti al ballottaggio sono comunque nell’ottica dell’”impresa”, considerata la tendenza di una parte delle forze politiche che al ballottaggio non ci arrivano ad avere forti pulsioni a coalizzarsi contro chi ha governato. E adesso che l’ultimo round cominci dopo la campana dei sondaggi.