La Belle Epoque, Paris, la Ville Lumière, il Moulin Rouge, i teatri, le maisons closes… Volete fare un tuffo in quei mitici anni? In quella Parigi notturna, illuminata dalla luce artificiale dei lampioni e dei fari della ribalta, così diversa dalla solarità tanto cara agli Impressionisti? Ecco la mostra che fa per voi, “Toulouse-Lautrec. La Belle Epoque”, al Museo AMO in Palazzo Forti a Verona, fino al 3 di settembre. Con il patrocinio del Comune scaligero, è prodotta e organizzata da Arthemisia Group con il contributo di AGSM, main sponsor, ed è curata da Stefano Zuffi. Il valore aggiunto della mostra, è bene dirlo subito, è l’ottimo allestimento ideato da Corrado Anselmi e realizzato da Tagi 2000, con arredi, [//]video e fotografie rievocanti il clima dell’epoca; grazie anche alle luci di Francesco Murano e alle appropriate musiche evocative che fanno con discrezione da commento sonoro. Le opere esposte sono 170, tutte provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene. Sono manifesti, litografie, disegni, illustrazioni e acquarelli, articolati in 10 sezioni sgranate nelle belle sale affrescate al piano nobile di Palazzo Forti. Scandiscono la parabola artistica di un innovatore eccentrico – spesso anche scandaloso – protagonista di spicco della scena di Parigi tra le due grandi esposizioni universali del 1889 e del 1900; fino alla vigilia della fine, nel 1901, a soli 37 anni. Artista maledetto a causa della sua vita dissoluta, per molti; icona singolare e peculiare dell’ultimo Impressionismo, per i più. Il percorso inizia con Yvette Guilbert, attrice e cantante alla quale Lautrec dedica un intero album di litografie, esposto in mostra. Yvette è ricordata anche dalla diffusione di una sua registrazione canora originale, oltre che da oggetti di abbigliamento mondano e di scena esibiti in una scenografica vetrinetta al centro della prima sala. Lautrec era pure amico della celebre stella del cabaret Jane Avril. Egli la raffigura come una donna colta e sofisticata nel manifesto “Divan Japonais” e come scatenata ballerina, qual’era, ne “La compagnie de Mademoiselle Eglantine”. Straordinari esempi innovativi di litografie stilizzate e colorate a tinte piatte, che gli procurarono all’epoca, come quelle non meno geniali dedicate al cantante e cabarettista Aristide Bruant, una grandissima notorietà. Consacrando Lautrec per sempre mitico precursore nel genere, oltre che in quello del manifesto pubblicitario – dove egli decise di mettere in evidenza i nomi degli artisti che si esibivano nello spettacolo, praticamente inventando lo “star-system” –, in quello della grafica promozionale, delle vignette satiriche e delle illustrazioni per i giornali. Nella seconda saletta della mostra, tra mobilio d’epoca e arnesi per la stampa — di cui Lautrec seguiva tutte le fasi – è esposta anche la pietra litografica di “Pour toi!…”, maneggiata dallo stesso Lautrec. Di lui si diceva che, dopo l’odore dell’assenzio, il profumo che amava di più era quello dell’inchiostro. Nella grande sala centrale, dedicata al variegato mondo degli spettacoli – dal cabaret al teatro di prosa, alle opere e ai concerti dell’Opéra – intorno alla ricostruzione di un’ideale “terrasse” — con tavolini, sedie e festoni di lampadine, come si usava allora sostare all’aperto – troviamo le argute litografie della raccolta “Le café-concert”, tra cui il celeberrimo “Cantante americano”, ma anche “Bartet et Mounet-Sully in ‘Antigone’”. Perché Toulouse-Lautrec usava dire: “Non importa quale sia lo spettacolo. A teatro sto sempre bene!”. Senza ignorare il pubblico: anonimo come “Una spettatrice”, o conosciuto e abitudinario come “Brandès nel suo palco”. Stavolta adottando tratti dinamici ed energici contrasti di luci e ombre, che risentono sia delle xilografie giapponesi, sia della lezione di Daumier. C’è poi il settore dedicato ai cavalli, la grande passione negata di Lautrec. Del nobile Henry de Toulouse-Lautrec, barone di cinque feudi e signore di un sesto; ultimo rampollo di una dinastia ascendente al Medio Evo cavalleresco; allevato nell’ambiente dell’alta aristocrazia di provincia, accanto a un padre, il conte Alphonse, provetto cavallerizzo e convinto fautore della vita all’aria aperta, affidata a lunghe passeggiate a cavallo e a battute di caccia al falcone. L’impedimento era rappresentato dalla forma di nanismo che lo affliggeva fin dalla nascita, aggravata da rovinose fratture alle gambe. Tra i vari “Cavalieri” e una “Amazzone”, c’è la famosa litografia de “Il fantino”, oltre al “ritratto” del paziente “Pony Philibert” e del “Cocchio”, il calessino che Henry, peggiorate le condizioni fisiche, utilizzava negli ultimi due anni di vita per spostarsi nelle vie di Parigi. Una chicca “cinematografica” è rappresentata, inoltre, da una serie di 16 fotografie fatte a un cavallo in corsa che, scorrendo sovrapponendosi, danno l’illusione del movimento. Nella sezione “Disegni”, troviamo le testimonianze attraverso le quali, fin da giovanissimo, Lautrec usava esorcizzare la noia e i disagi delle lunghe convalescenze o delle cure termali; o evadere dalle costrizioni degli studi accademici o della prigionia nella clinica per malattie mentali, dove fu rinchiuso per tre mesi a disintossicarsi dall’alcol e a liberarsi dagli attacchi di delirio. Sono disegni a penna e a matita di grande freschezza e incisività. Sono soprattutto schizzi di volti e di animali; “silhouettes” e caricature. In mostra si nota il ritratto del padre, con il quale Henry, a differenza che con la madre, ebbe sempre un pessimo rapporto, e l’arguto foglio in cui l’artista si rappresenta impietosamente nudo. C’è pure il disegno di “Un uomo nella camicia di forza”: forse l’amico Van Gogh con il quale, nel periodo di segregazione e malattia mentale, si era idealmente identificato? Due sezioni sono dedicate alle collaborazioni editoriali. Con riviste umoristiche, come “Rire” ed “Escarmouche”, ma anche per libri di pregio e copertine per spartiti musicali. Esposte soprattutto vignette di satira politica e di costume; oltre a pezzi rifiutati dagli editori, anche questi accuratamente conservati. Il cugino musicista Désiré Dihau, lo traviamo raffigurato con il suo fagotto nella litografia “Pour toi!…”, quella di cui si espone la pietra nella seconda sala. Ci sono poi gli amici intellettuali. Sono poeti, editori, mecenati, scrittori, che Lautrec incontrava negli uffici e nelle abitazioni dei dirigenti della “Revue Blanche”, nei quali si svolgeva gran parte della vita sociale parigina. E’ l’altra faccia, non meno significativa, della complessa personalità di Lautrec. Per la rivista egli disegnò un manifesto dove compare l’affascinante Misia Natanson, moglie dell’editore. Impegnativa, inoltre, la realizzazione della copertina e delle illustrazioni per il libro “Au pied du Sinaï”, comprendente una serie di racconti di George Clemançeau (poi divenuto importante uomo politico) ambientati in varie comunità ebraiche. La mostra significativamente si chiude con la sezione “L’amore è un’altra cosa”. Quell’amore che Henry, tra tanto sesso mercenario, non colse mai. Forse lo sfiorò, ma senza esiti, acceso dalla misteriosa “Passeggera della cabina 54”, incontrata in un viaggio per nave e immortalata in una delicata litografia. Il resto fissa le passioni represse, la solitudine, il desiderio di una vita migliore, colti sotto la sensualità “di mestiere” di cantanti, attrici e prostitute, immortalati in ritratti fedeli, senza ironia né moralismi. Il ciclo più completo è costituito dalle litografie a colori dell’album “Elles”, considerate capolavori dell’incisione francese del tardo Ottocento. In mostra, il frontespizio della raccolta e la stupenda “Donna alla tinozza”. Se un sentimento si può cogliere, è la sincera vicinanza empatica che l’artista infonde in tutte queste opere. In questa stessa sezione, il sottofondo musicale è affidato all’incomparabil e voce di Maria Callas, sulle note di musiche dedicate ai cieli notturni di Parigi. Il percorso espositivo è terminato, ma… ecco un inatteso “coup de téâtre”. Celato dietro un innocente siparietto, si svela il riservato ambiente di un’elegante “maison close”… con tanto di proiezione di erotici filmetti d’epoca. Interessante osservare come i paletti della trasgressione varino di tempo in tempo! (Franca Barbuggiani)
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“Toulouse-Lautrec. La Belle Epoque”
AMO-Palazzo Forti Via Achille Forti, 1 – Verona
Orari: lunedì 14.30-19.30 da martedì a domenica 9.30-19.30
Biglietti: intero € 14.00 (audioguida inclusa) ridotto € 12.00 (audioguida inclusa) Visite guidate per singoli e gruppi, adulti e bambini Info e prenotazioni: 39 045 853771 (dal lunedì al venerdì 10.00-17.00)
Fino al 3 settembre2017