Un premio Masi a forti tinte rosa quello 2017, 36° dalla sua istituzione nel 1981. Su cinque nominativi premiati, infatti, tre declinano al femminile. Così ha deciso quest’anno Fondazione Masi, presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti e sostenuta dalla storica cantina della Valpolicella guidata da Sandro Boscaini (anche vicepresidente di Fondazione Masi) dopo il vaglio delle commissioni selezionatrici che, come tradizione, hanno incrociato la dimensione [//]territoriale veneta con una proiezione internazionale. Senza tralasciare, ovviamente, il filo della memoria quale strumento per capire il presente e dare fondamenta al futuro. Se il Premio Internazionale Masi per la Civiltà del Vino (Commissione presieduta da Ezio Rivelli) è andato a Luigi Moio, docente all’Università Federico II di Napoli, ricercatore, sperimentatore e divulgatore (anche attraverso il recente successo editoriale de “Il respiro del vino”) di fama internazionale, il Premio Internazionale Masi Grosso d’Oro Veneziano (quest’ultimo su selezione congiunta di Fondazione Masi e Fondazione Corriere della Sera) è stato appannaggio della ruandese Yolande Mukagasana. Già candidata al Premio Nobel per la pace, Yolande Mukagasana è stata vittima e testimone di uno dei più efferati genocidi della storia, perpetrato nel suo paese d’origine e che lei stessa ha rievocato nei suoi scritti in spirito di verità, giustizia e soprattutto riconciliazione e amore. Così, nella terna dei vincitori del Premio Masi per la Civiltà Veneta (Commissione presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti) sono stati scelti ben due nominativi di donne. Paola Marini per la straordinaria opera di studio, tutela e valorizzazione dell’arte veneta, svolta attraverso numerose pubblicazioni e importanti mostre realizzate ricoprendo impegnativi ruoli quale la direzione, dapprima, dei Civici Musei d’Arte e Monumenti di Verona e, ora, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Connotata quale storica dell’arte profondamente radicata nel territorio veneto, ha dimostrato, inoltre, grande attenzione alle più innovative esperienze e allacciato proficue collaborazioni internazionali. Elena Zambon, invece, per aver saputo sviluppare – nel solco di una lunga tradizione famigliare di imprenditoria nel settore chimico e farmaceutico – non soltanto le potenzialità di ricerca e di espansione all’estero della omonima multinazionale di famiglia (attualmente conta filiali in 19 paesi con 2800 collaboratori) ma anche, attraverso il Codice Etico della società, quei valori morali e sociali che il fondatore aveva posto fin dall’inizio alla base della attività. In questo spirito, Elena Zambon (tra l’altro, Premio Imprenditore Olivettiano 2010) ha sviluppato iniziative per promuovere un modello di impresa attenta al business quanto alle tematiche valoriali per un ambiente lavorativo capace di favorire le relazioni umane dentro l’impresa, ma anche verso il territorio circostante. In tale prospettiva, si spiegano anche Fondazione Zoé e, a Bresso, il Museo Zambon quale contributi alla crescita di una nuova consapevolezza sulle tematiche della salute e del benessere. Terzo premiato, lo storico e ricercatore Emilio Franzina. Per aver indagato con rigore e passione la storia degli ultimi come, nel grande alveo dei movimenti migratori di massa, dei nostri emigranti, di cui ha ricostruito le condizioni sociali e politiche, le vicende migratorie, le espressioni di arte popolare, gli epistolari, le canzoni, anche in numerose “conferenze spettacolo”, ovvero “lezioni di storia cantata”. Già Ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università di Verona e Presidente dell’Istituto Veronese per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, ha inoltre approfondito la storia del Veneto, regione alla quale ha dedicato la maggior parte dei suoi libri. Dopo la firma della botte di amarone a loro donata, in serata, nel Teatro Filarmonico di Verona gremito di prestigiosi invitati, i premiati sono stati protagonisti di un interessante talk-show condotto dal giornalista Piero Badaloni. Impeccabile aplomb e piacevole approccio, Badaloni ha stimolato gli ospiti, prima della consegna dei premi – targhe e bottiglie di eccellenti vini Masi – a ribadire e rimarcare i valori individuali che hanno portato alla premiazione di ciascuno. Coinvolti, anche, sul costante fil rouge di memoria e innovazione, gli anfitrioni e alcuni ospiti “fuori programma”. Sandro Boscaini è stato sollecitato a parlare di una preziosa collezione di antiche mappe riferenti allo stato veneto, dal lontano ’500 ai più vicini tempi asburgici. Raccolte ora in un volume con prefazione di Isabella Bossi Fedrigotti, restano in attesa di adeguata sistemazione. Con Boscaini si è parlato, inoltre, di vini. Di Campofiorin al suo cinquantenario, padre nobile di tutti i passiti e i ripassi, e di Prosecco, i cui vigneti in Valdobbiadene sono stati da poco acquisiti da Masi Agricola. Di Prosecco ha parlato anche il regista Padoan, che firma il film “Fin che c’è Prosecco c’è speranza”, un giallo con protagonista l’attore veneto Giuseppe Battiston già, egli pure, insignito del prestigioso Premio Masi nel 2011. (Franca Barbuggiani)