(di Bulldog) Due cose ho visto di persona in Cattolica Assicurazioni: ogni preventivo richiesto negli ultimi trent’anni per una qualunque polizza – vita, Rca, rischio professionale, casa.. – in arrivo da Lungadige Cangrande era il più caro del lotto, e quindi, mai mi sono assicurato con la compagnia scaligera; di ogni discussione pubblica sulla Cattolica il minimo comune denominatore era chi individuare per fare una cordata e prendere un posto in Consiglio d’amministrazione. Dove, ovviamente, si sarebbe combattuto lo strapotere di Paolo Bedoni (da 15 anni al vertice e da 21 nel Cda) e dove poi regolarmente si sarebbe trovato un accordo per il quieto vivere. Non ho trovato nessuno che volesse affrontare i nodi industriali, la bancassicurazione, i costi…no, la lotta era soltanto sulla governance, come entrare e come regnare.
Un po’ poco per una realtà con 140 anni di storia nella Città. Magari i miei sodali sono tutti tipi veniali, e potrebbe anche essere, ma mi stupisce di più il fatto che in oltre trent’anni da assicurato mai una volta la compagnia scaligera sia stata competitiva.
Certo, lascia perplessi il comportamento dell’attuale dirigenza: lunedì una lenzuolata sul Corriere della Sera ci spiegava quanto la Cattolica fosse sana, quanto volesse mantenersi cooperativa, e cosa avrebbe fatto coi 500 milioni di free cash in arrivo. Due giorni e arriva l’annuncio dell’ingresso di Generali (grandissima realtà globale nelle assicurazioni, una perla dell’economia italiana) che diventa primo azionista col 25% circa delle azioni, che ottiene la trasformazione in Spa, e diritti di voto in percentuale ancora maggiore rispetto a quanto controllato. Il tutto per 300 milioni €, al prezzo di 5,5€/azione quando poche settimana fa si viaggiava tranquillamente sopra i 7€/azione. Colpa tutta della vigilanza? Non credo, se debbo dar retta a Paolo Bedoni che appena lunedì poteva vantarsi di plusvalenze per un miliardo € nella gestione delle riserve in titoli dello Stato.
Adesso tutti a stracciarsi le vesti in città: con 300 milioni passa di mano una compagnia con 7,7 miliardi di ricavi, 1,8 miliardi di patrimonio, utili prima delle imposte per 343 milioni. Il Leone di Trieste fa un affare e probabilmente non butterà via i soldi in latifondi come Cà Tron dalla dubbia redditività. Almeno, dalla redditività non provata.
Resta un dubbio: la Verona che ha assistito negli anni alle vicende Cattolica soltanto con l’approccio di cui sopra avrebbe fatto meglio? dove sono i 300 milioni cash, anzi i 301, per non far entrare il Leone? dov’è stata l’attenzione della classe dirigente veronese ai suoi asset finanziari? Chi a Verona metterà sul piatto gli altri 200 milioni per completare l’aumento di capitale? Perché il dibattito su Cattolica è stato sempre e soltanto quello delle posizioni di potere da conquistare?
Resto pessimista su un colpo di coda della veronesità e mi vien da credere che l’ingresso di manager nuovi, di logiche di governo nuove, possano alla fine premiare di più gli azionisti, quei 18mila cassettisti – molti i Veronesi – che sino ad oggi hanno visto le azioni Cattolica come un bene-rifugio e che non hanno “tradito” la compagnia nonostante il calo delle quotazioni degli ultimi tempi. Certo, sarà più dura per i 900 dipendenti ed i 1500 agenti: prima o poi l’ora delle sinergie arriverà anche per loro.
Per Verona finisce definitivamente un’era. In dieci anni abbiamo perso il controllo praticamente di tutto. I limiti di una generazione – di manager, di politici, di osservatori – sono evidenti. Hanno lasciato macerie. Peccato continuino ancora a pontificare…