(di Giulio Bendfeldt ) Allora domani (29 giugno, Ndr) è il grande giorno della fusione: a mezzogiorno il Cda di Agsm Verona Spa darà il suo via libera alla fusione con AIM Vicenza, ai valori del bilancio 2019 che portano ad un fatturato aggregato di 1448 milioni (sesta realtà italiana scavalcando Alperia-Bolzano ed affiancando praticamente Dolomiti energia-Trento); 147 milioni di Ebitda congiunto; 42 milioni di utili netti; 276 milioni di posizione finanziaria netta e 2024 dipendenti. Vicenza è per fatturato un quarto di Verona, ma ha una redditività doppia: il 16.7% contro l’8.5%. Verona avrà presidente e CEO; Vicenza il vicepresidente. Le quote sociali premieranno Vicenza rispetto al 25% del peso specifico, ma non tanto quanto si ipotizzava due anni fa quando ancora c’era chi immaginava un 50-50 fuori da ogni logica.

Chi vince e chi perde? Vince Agsm che tiene fuori da Vicenza dei competitor veri; perde chi voleva fare subito l’operazione MuVen con A2A Milano (che è oramai fuori dai giochi anche futuri, aprendo la strada per una soluzione triveneta con Alperia e Dolomiti, dal grande appeal, oppure con l’emiliana Hera); vince chi non voleva passare per “quello che ha svenduto Verona”; perde chi ha spintonato da fuori la politica per far passare una “soluzione industriale” facendo finta di scordare che il più grande competitor locale di Agsm è una società iscritta a Confindustria. Perdono sindaco e presidente; vince – assai probabilmente – il management delle due multiutility che sarebbe stato sacrificato sull’altare dell’efficientamento.

Ma quanto sopra è un giochino, in verità, alquanto limitato. Verona e Vicenza hanno un po’ di mesi in più per scegliersi il partner migliore; non dovranno perdere tempo dal punto di vista industriale e cercare sin da martedì quelle sinergie per rendere un business vero questa operazione lavorando sul tema della chiusura del ciclo dei rifiuti che vede entrambe le città buttare via quattrini smaltendo fuori provincia senza valorizzare i rifiuti urbani. Potrebbe essere il momento per una ripresa seria di Cà del Bue, che potrebbe diventare un polo a tutto tondo – dalla produzione di biocarburante alla valorizzazione di fanghi e rifiuti urbani – cercando il meglio delle tecnologie attuali che non producono polveri e tanto meno diossina ed evitano quel traffico ignobile di rifiuti da una città all’altra.

Vorrebbe dire ambiente più pulito, meno traffico, più utili da reinvestire a vantaggio delle comunità locali e di uno sviluppo sostenibile. Brescia, Bolzano e Padova sono esempi positivi vicini a noi. Il meglio della tecnologia attuale dato che Copenaghen , il mitico termovalorizzatore di Copenhagen indicato come modello globale, altro non è che Padova replicato davanti alla Sirenetta. Certo, bisognerà convincere i Nimby locali, ma la “terra dei fuochi” che arde nei capannoni di Verona e Vicenza (e di tutto il Nord) dovrebbe essere elemento utile per una disamina finalmente non ideologica.

Da martedì al lavoro insomma sulle sinergie, eliminando le sovrastrutture e pompando sugli investimenti: produzione di energia da fonti rinnovabili; passaggio a Led dell’illuminazione pubblica e vendita di questo know-how; eliminazione dei business che le due città amano tenersi in-house; sviluppo di una rete per la mobilità elettrica aumentando i punti di ricarica al servizio del cambiamento in atto passando dalla fase free all’incasso dell’energia distribuita; riqualificazione energetica delle due città operando sui condomini di vecchia generazione, un volano per la ripresa post-Covid che non andrebbe sottovalutato. Bisogna che la redditività resti alta: perché serviranno quattrini – riserve proprie, ma più facilmente da richiedere altrove – per le prossime gare sulla componente distribuzione (soltanto 203 milioni a Verona da mettere sul piatto nei prossimi anni). Lo stop di questi giorni può diventare un’eccezionale leva per una ripartenza davvero forte. E quindi, far valere AGSM-AIM ancora di più nel mercato energetico dei prossimi anni. Non male, no?