(b.g.) Chi ama la pallacanestro ha cullato il sogno per pochi giorni: le parole sconfortate di Gianluigi Pedrollo – presidente della Scaligera – hanno fatto capire che per raggiungere la A1, il massimo campionato, ci voleva molto di più delle pacche sulle spalle e dell’affetto ostentato. Banalmente, c’era un budget da coprire e la società da sola quel traguardo non poteva raggiungerlo. E’ mancato, onestamente, anche un intervento chiaro dello Stato a tutela dello sport con la defiscalizzazione delle sponsorizzazioni, nella consapevolezza che aiutando le squadre di vertice automaticamente ci sarebbe stato un effetto-traino anche per quelle minori e le categorie dilettantistiche.
Grazie al presidente per averci provato e per aver sostenuto in questi anni il peso della società.
Il problema si ripropone però per il futuro. E’ possibile lo sport professionistico senza la figura del mecenate? Specialmente fuori dal calcio, sport che – peraltro – in questo qualche esempio alternativo lo presenta. Una risposta viene da due realtà assai vicine a Verona, cresciute una dalla cadetteria, una dalle ceneri dell’addio di un mecenate: Trento e Treviso.
In questi casi il modello adottato è stato l’opposto: zero mecenati a favore di un impegno che coinvolge un numero maggiore di realtà del territorio (persone singole comprese). La leva in questo caso è duplice: per i singoli, la molla è quella di contribuire alla costruzione di una società in grado di reggere nel tempo e di godere di qualche benefit (e poter essere coinvolta di più, foss’anche soltanto nelle charity); per le imprese quelle di legare il proprio brand ad una squadra vincente (lo sport resta in tutte le analisi di marketing il mezzo più veloce per affermare il proprio marchio e fidelizzare la comunità dei clienti) e, nel caso di Treviso, sviluppare business con le altre aziende facenti parte del consorzio.
Trento ha una formula societaria più complessa – ci sono una Fondazione (a tutela del valore sportivo), un Consorzio di imprese (64 di tutto il Trentino) e un Trust di tifosi: rispettivamente il 40,20 e 40% delle quote del club – , Treviso ne una più snella e aperta al mondo economico. I dati non sono gli ultimi, ma sono associate 160 imprese e industrie della Marca che si impegnano per un fee annuale di mille € e in un piano di presenza pubblicitaria triennale tarato sulle proprie esigenze. Quindi, ci possono stare i big, ma anche realtà industriali più piccole o anche attività commerciali basate su un solo negozio. Ogni anno apportano oltre 700mila € che hanno rappresentato lo zoccolo per salire in A1 e regalare al PalaVerde più di una soddisfazione. Le interazioni fra i soci hanno portato ad un business aggiuntivo per le 160 aziende di 2,5 milioni €. Il triplo di quanto versato alla squadra. Anche Verona ha gli “sponsor day” che però coinvolgono un numero più ristretto di realtà. Con più imprese “consorziate” il giro d’affari indotto potrebbe crescere significativamente.
Lo sport veronese – come larghissima parte di quello italiano – ha storicamente sempre fatto affidamento sul paròn che spende più per orgoglio che per tornaconto (anzi, quando i mecenati ci guadagnano o ricavano dallo sport uno stipendio, vengono pure guardati male come se fosse obbligatorio rimetterci soldi) e quindi ancora oggi abbiamo dei singoli a sostenere calcio, volley, basket, rugby…Forse è l’ora di pensare, da tifosi appassionati, ma anche da cittadini attenti alla qualità del tessuto sociale ed alle opportunità che società sportive di alto livello offrono all’economia locale ed al brand territoriale, a qualche soluzione Trento o Treviso style: un trust di tifosi più un consorzio di imprese che apportino risorse stabili nel medio periodo a chi regge l’onere della gestione. Un mattone – più grande è e meglio ovviamente è – su cui la società possa contare per pianificare e strutturarsi. Personalmente, ho seguito questo processo in quel di Treviso e posso confermare che business e passione si tengono. Bisogna evidentemente cambiare l’approccio tanto dei tifosi/sostenitori che della proprietà. Ma se altrove funziona, e bene, perché non provarci anche a Verona? Ritrovarsi fra un anno con lo stesso problema e magari dover rinunciare ancora ad un salto in A1 sarebbe davvero triste…