(di Bernardo Pasquali Da più di 16 anni Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, sta sperimentando nel vivo, la validità delle comunità del cibo. Spiega: “Le caratteristiche precipue delle nostre comunità erano sostanzialmente due: la prima era l’intelligenza affettiva e la seconda l’austera anarchia. Dentro la comunità, c’è un modo di essere e di comportarsi in condivisione che non è paragonabile a qualsiasi altra struttura organizzativa. Il ragionamento che avevamo fatto con Terra Madre era di non pretendere da queste comunità delle obbligazioni coercitive ma di dare in modo che loro esprimessero tutta la loro diversità in piena autonomia. Non c’è dubbio che in questa fase storica, le nuove tendenze per portare avanti istanze, ideali e cambiamenti, sono maggiormente forti e intraprendenti se sono comunità. Io penso che è una fase storica. E noi l’abbiamo vista in tempo. In questo momento di uscita dalla pandemia c’è bisogno di comunità».
Dobbiamo aprire alle realtà della Grande Distribuzione Organizzata
“Ho visto una pubblicità della GDO che parlava di essere comunità. Quando le buone cose cominciano a sentirsi e si vede citare il termine comunità, solidarietà, il termine sostenibilità, vuol dire che queste buone cose stanno avendo presa e hanno una loro fascinazione. Io penso che il percorso di Slow Food nei prossimi anni sarà quello di aprirsi a queste realtà. Ma in maniera molto inclusiva. Se non siamo inclusivi in questo momento non riusciamo a cambiare le cose. Per cambiare le cose è necessario avere una rete. La nostra è Terra Madre. La dobbiamo fortificare, implementare. Terra Madre non è solo una formula organizzativa, è politica, è la nuova politica. Molte volte le strutture si arrotolano su sé stesse per spaccare i capelli in quattro. In questo momento l’inclusività riesce ad avere una grande incidenza anche nel cambiamento di paradigma. Cambiare il paradigma di una cultura economica tutta basata solo sul profitto. Se vogliamo passare ad una politica economica che presti attenzione ai beni comuni ai beni relazionali, che riduca le diseguaglianze, che abbia rispetto dell’ambiente, che metta davanti la solidarietà al profitto; se vogliamo fare questo cambiamento, noi abbiamo bisogno di esser inclusivi. E a livello internazionale abbiamo bisogno che ci sia molta biodiversità. Questa sarà la sfida che avremo nei prossimi anni. Non se ne può più di politiche basate su scontri insulti, su guerre fratricide. C’è bisogno di costruire politiche di cooperazione. E’ il tempo del dialogo, della cooperazione, di sentirsi soggetti che includono e si rafforzano».
Il nostro modo di intendere il cibo sarà la discriminante per il cambiamento
«Il modo che abbiamo noi di intendere la politica del cibo, può essere quello che contribuisce fortemente al cambiamento. Perché quando parliamo di cibo parliamo di territorio, di coltivazione, di allevamenti, mentre le pratiche di allevamenti intensivi, di uso smodato della chimica, di trasformazioni che nuociono anche alla salute, non sono sostenibili da un punto di vista ambientale. La politica del cibo è determinante se vogliamo avere una parte nella questione ambientale».
Dobbiamo ricostruire il rapporto tra città e campagna
«Se questo rapporto salta non avremmo più i nostri borghi, le realtà specifiche in campo agricolo. Noi dobbiamo ricostruire questo sistema di vicinato di comunità. Pensare anche di ricostruirlo prestando attenzione alle piccole realtà produttive. All’economia locale le piccole entità. Le piccole entità non inquinano non distruggono l’ambiente. Sto parlando di alta politica. Non siamo una congrega di buontemponi. Perché partendo dal cibo si può arrivare all’equità e alla giustizia. Alla cura dell’ambiente. A un’economia che sia meno distruttrice. Alla solidarietà e convivialità. Tutto questo si realizza se noi facciamo comunità. A livello internazionale Terra Madre deve essere la comunità delle comunità».
Questa edizione di Terra Madre non si farà. Dobbiamo però andare per il mondo a rafforzare ancora di più questa rete.
«Abbiamo davanti la grande opportunità di portare avanti gli elementi del bene comune e relazionale come distintività di una nuova economia. Siamo davanti a due cosmogonie. La prima, quella imperante, è quella del profitto, della finanziarizzazione, della competitività. La seconda, che dobbiamo prendere per mano, è quella della cooperazione della solidarietà dei beni comuni e dei beni relazionali e quindi di un profitto equo buono pulito e giusto. Questa seconda, se noi la colleghiamo alla salvaguardia dell’ambiente, della nostra salute e dell’educazione, potrà essere la linea che cambia il paradigma. Dobbiamo fare in modo che questa rete di comunità si allarghi e abbia capacità di presentare queste nuove istanze. Questa esigenza è molto sentita».
Siamo a fianco dei Cuochi dell’Alleanza
«So che i cuochi dell’Alleanza stanno preparando a livello nazionale, una istanza a difesa del settore della ristorazione in Italia. Noi dobbiamo essere al loro fianco. Se non mettiamo questo elemento di solidarietà non ha nessun senso dimostrare la nostra operazione».
Amazon e la GDO in questo momento alimentano una vergognosa diseguaglianza
«La GDO e Amazon in questo frangente stanno facendo soldi a palate. Tutti quelli che sono i protagonisti del cambiamento, le piccole botteghe, le osterie, i piccoli negozi, sono tutti a carte quarantotto. Noi dovremo ricostruire le piccole entità paese per paese luogo per luogo, e ricostruire l’economia locale. I soldi che vanno a Amazon vanno ad una persona sola. I soldi che vanno alla GDO molte volte mettono in ginocchio i nostri contadini».
Non possiamo pensare solo a delle comunità dell’alimentazione
«Non possiamo pensare solo a delle comunità dell’alimentazione. Terra madre può essere anche una comunità di librerie, le comunità educative. Le nostre comunità devono essere multiforme e variegate. Possono essere una banda di giovani che fanno musica. Dobbiamo essere aperti a questo concetto. Abbiamo bisogno di una società che cambi. Le comunità sono organizzazioni di cooperazione mutualistiche. Nelle comunità non ci sono competizioni interne accentuate. Questo modo di essere è un anticipatore del cambiamento».
Via le tasse per un anno e mezzo per salvare il salvabile della ristorazione
«Avremo un periodo di transizione un po’ lungo, in cui le disposizioni genereranno un cambiamento strutturale del luogo di ristorazione. Purtroppo attraverseremo un periodo in cui molte di queste imprese dovranno tirare giù le saracinesche. Si prevede il 30% nelle mie Langhe. Bisogna mettere a valore coloro che, nella ristorazione, hanno un rapporto organico con l’economia agricola locale. Bisogna bloccare il pagamento delle imposte per almeno un anno e mezzo; eliminare tutte quelle che sono le tasse locali rispetto al pagamento del plateatico, avere forme di sostegno. Siamo davanti ad un comparto che impiega migliaia e migliaia di operatori. Se saltano per aria queste realtà le nostre città cambiano volto e cambia volto anche la nostra socialità. Dobbiamo essere a fianco di queste realtà. Dobbiamo rafforzare la solidarietà».
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