(di Gianni De Paoli) Ormai lo sanno tutti: l’aeroporto è una desolazione. Il più delle volte per prendere un volo i veronesi devono andare a Bergamo, a Venezia, a Milano o anche a Bologna. Eppure fino a qualche anno fa il Catullo era collegato con le principali capitali europee e aveva diversi voli nazionali che ne facevano uno scalo in crescita, ma soprattutto era una di quelle infrastrutture che permettevano di cresce all’economia veronese.

Poi il crollo. Nel 2014, in difficoltà dopo una cattiva gestione, segnata anche dal deficit provocato dallo scalo bresciano di Monticherai mai decollato, il Catullo, veniva dato in mano alla Save, la società che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia, diretto concorrente, dato che è a soli cento chilometri di distanza. La Save, com’era da aspettarselo e come anche un bambino avrebbe potuto prevedere, tutto ha fatto meno che sviluppare il Catullo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quella che dovrebbe essere un’infrastruttura vitale per l’economia veronese basata soprattutto sugli scambi delle persone – turismo- e delle cose – commercio- è ridotto ad una aeroporto del tutto secondario, con un traffico poso significativo per la città e per l’aerea del Garda, di cui dovrebbe essere in naturale riferimento.

Il tutto mentre gli altri aeroporti crescono. Bergamo ha addirittura sforato il limite di passeggeri dei 10 milioni (Verona è a 3 milioni) e non ha più possibilità di espandersi. Venezia proprio in questi giorni ha raddoppiato il volo Alitalia per Roma. Il Catullo invece è fermo.

Lo sanno tutti, si diceva. Tutti meno chi dovrebbe intervenire su questa situazione disastrosa. In primis il sindaco di Verona che continua a tacere su un problema così rilevante per la città. E’ vero che il Comune ha solo il 9% di Aerogest, la società che raccoglie i soci pubblici, ma è anche vero che moralmente si tratta dell’aeroporto di Verona. E soprattutto del futuro di Verona.