(di Gianni De Paoli) Sulla situazione dell’aeroporto di Verona c’è uno strano silenzio da parte di chi se ne dovrebbe occupare istituzionalmente. Il sindaco della città, titolare di poco meno del 10% di Aerogest, la società che raccoglie i soci pubblici del Catullo, tace. Quasi fosse cosa che non lo riguardi. Eppure, dicono i solitamente bene informati nei corridoi di Palazzo Barbieri, quella dell’aeroporto, assieme alla Fondazione Arena e all’Agsm, è una di quelle tematiche che fin dal giorno del suo insediamento ha avocato a sé, si suppone perché considerate particolarmente importanti per la città. Tuttavia tace. E, come si suol dire, chi tace acconsente. Il che significa che Sboarina condivide la gestione dell’aeroporto e ritiene che vada bene così. Riello e Arena godono della sua fiducia e quindi, per la proprietà transitiva della fiducia, lo stesso vale per Marchi, presidente della Save, la società veneziana che di fatto ha in mano il Catullo.
Una vera stranezza che, a sentire quel che pensano i veronesi, pone il sindaco in una posizione alquanto minoritaria se non bizzarra e autolesionista.
Minoritaria perché la grande maggioranza dei cuoi concittadini non può essere contenta di doversi recare come minimo a cento chilometri di distanza per prendere l’aereo, mentre fino a qualche tempo fa lo aveva sotto casa. Bizzarra, perché sostenere che funziona un aeroporto ridotto com’è ridotto è bizzarro. Autolesionista perché per un sindaco non riuscire a interpretare il pensiero dei veronesi significa aver perso quel grande consenso che gli aveva permesso di vincere le elezioni solo tre anni fa.