(di Gianni De Paoli) In Italia ci sono più di 8000 comuni. Il che significa 8000 sindaci, 8000 giunte, 8000 consigli comunali, 8000 uffici anagrafe, uffici edilizia privata, uffici servizi pubblici, forse quasi ottomila centri elaborazione dati ecc. Tutto questo costa. E se nei comuni di una certa dimensione ha un senso, nel caso dei piccoli comuni è uno spreco. Il 70% dei comuni è sotto i 5000 abitanti, il 20% è sotto i 2000. Ci sono addirittura comuni con 100 o 200 abitanti: un inutile spreco di denaro. Nel 1929 Mussolini con un colpo di penna cancellò ben 2000 piccoli comuni. Ne rimasero sempre troppi, ma se per il livello delle comunicazioni di allora ciò poteva avere un senso, oggi ,con le possibilità di collegamento fisico e virtuale che esistono, no.
Gli Italiani sono molto attaccati al proprio comune. Lo vedono come un’estensione della famiglia, un luogo quasi appartenente alla propria personalità da difendere ad oltranza. ll “campanilismo” che non è altro che il sentimento di appartenenza ad una comunità e la necessità di renderla nota difendendone le istituzioni e le caratteristiche. Negli anni scorsi in Trentino ed in Emilia sono stati fatti degli accorpamenti. E anche all’estero: la Germania ha dimezzato i propri comuni e la Danimarca da 1388 li ha fatti diventare 275. Inoltre l’Istat ha calcolato che i comuni più costosi sono proprio quelli più piccoli e molte funzioni amministrative potrebbero essere risolte meglio aggregandoli.
Ma ci sono delle resistenze anche di carattere psicologico come l’eliminazione di una serie di titoli (sindaco, consigliere, assessore, presidente ecc.) che nei piccoli comuni per chi li ha sono motivo di prestigio anche a fronte di una remunerazione minima. Non si nega che il Comune rimane l’istituzione più vicina ai cittadini, contro lo statalismo e la burocrazia, si tratta solo di migliorarne l’efficienza con la razionalizzazione dei sistemi e dei programmi e con la modernizzazione di tutto l’apparato degli uffici comunali.
Sarebbe una spending review molto più seria dei demagogici tagli al numero o alle indennità dei parlamentari.