(di Claudio Gallo) Sono le tre pomeridiane del 6 marzo 1898 nel parco romano della villa della contessa  Cellere quando Felice Cavallotti, il bardo della democrazia italiana, e il conte Ferruccio Macola, deputato veneto e direttore della “Gazzetta di Venezia” si sfidano a duello, il trentatreesimo per Cavallotti, spade affilate senza esclusione di colpi. Il duello era il risultato di una lunga campagna denigratoria condotta dalla “Gazzetta” contro Cavallotti che non aveva trovato soluzione amichevole. Al terzo assalto Cavallotti fu trafitto alla carotide e al palato, morendo poco dopo, secondo alcuni per errore nel ritrarre l’arma, per altri vittima di un colpo consapevole. Ai bordi del campo il giornalista Luigi Dobrilla che immediatamente inviò a Verona e in altre città un efficace resoconto del cruento scontro.

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La tradizione di insediare alla direzione dell'”Adige” esponenti radicali del Risorgimento nazionale proseguì proprio con l’arrivo di Luigi Dobrilla in sostituzione di Comandini, chiamato dall’editore Civelli alla direzione della più autorevole “La Lombardia”.  Dobrilla, nato a Firenze il 3 settembre 1856 da Luigi, commerciante triestino e da Sofia de Barry, studiò prima a Trieste e poi giurisprudenza a Vienna. Laureatosi con lode a Graz nel 1877 dove però «per motivi politici rifiutò l’anello d’oro con brillanti che l’imperatore donava agli studenti migliori».

Disertò, come Guglielmo Oberdan (o Wilhem Oberdank), dal 22º reggimento “Weber” dell’esercito austriaco durante l’occupazione della Bosnia Erzegovina. Raggiunta Ancona, poco dopo l’arrivo in Italia di Oberdan, dopo modeste esperienze giornalistiche entrò nella redazione della “Ragione” diretta da Felice Cavallotti e collaborò con la “Rivista Illustrata” e l'”Illustrazione Italiana” degli editori milanesi Treves. Condannato dall’Austria, dopo l’impiccagione di Oberdan, pubblicò, nel 1883, il volume Guglielmo Oberdan: memorie di un amico cui concesse una benevole prefazione Giosuè Carducci, nella foto in basso, col quale «subì un processo per reato di stampa a Bologna e alla corte d’appello di Milano, che ordinò la confisca e la distruzione di tutte le copie». Cortesie tra cugini, Savoia e Asburgo.

Ciò spiega le ricorrenti presenze del Carducci sulle pagine dell'”Adige” e le frequentazioni veronesi. Fu chiamato dai Civelli alla Direzione dell'”Adigedal maggio 1883 al giugno 1888 quando fu sostituito da Ruggero Gianderini. Passò poi al comando del “Diritto” di Roma e, contemporaneamente, lavorò al Ministero delle Finanze. ” Un acuto ritratto del poliglotta Luigi Dobrilla fu offerto da Francesco Giarelli, suo collega alla “Ragione”:

 «La mia questione filosofico-letteraria col collega nella Ragione Luigi Dobrilla, triestino, ingegno altissimo, coltura sterminata – di lingua tedesca ed inglese assoluto padrone – e che unico, nella mia lunga carriera giornalistica, mi presentò il fenomeno rarissimo di un perfetto equilibrio fra la educazione classica e la moderna.  Luigi Dobrilla, fortissimo tra i forti, È oggi direttore della Tribuna Illustrata: ma questo è il meno. Egli è e fu tutto ciò che volle e vuole essere. È stato persino uno dei più valenti stenografi alla Galbelsberg che mai abbia incontrati e campassi cento anni non dimenticherò una formidabile sua corvee: per la quale da Milano s’arrampicò a Gardone; vi udì un discorso politico di Giuseppe Zanardelli, lo stenografò, ritornò difilato a Milano, tradusse la sua stenografia in scrittura, la passò in stamperia, ed il giorno dopo la Ragione recava testualmente per tutta Italia il verbo politico dell’illustre deputato di Iseo!».

Giarelli, storico del giornalismo, esprimeva la sua incondizionata ammirazione «all’intelletto d’uno fra i più autenticamente valorosi che abbia l’Italia giornalistica”.   Lo si descrive bello, alto, aitante, forte” e sembra che coltivasse con dedizione la sua barba «esteticamente bionda, cui, dicevasi, riconosceva parecchi splendidi successi sulle sponde incantate del Tenero» e anche sulle rive del fiume Adige. Tant’è che la “Nuova Arena” invitava le giovani lettrici a innamorarsi una alla volta del biondo e avvenente collega.

Nella conduzione dell’Adige continuò le aperture culturali avviate da Comandini. Si dice che fu equilibrato ma è vero che le polemiche e le contese con la moderata “Arena” furono numerose, in particolare quelle che condussero al duello tra Giuseppe Biasioli, dell’“Adige”, e il giovane scrittore Emilio Salgari, dell’“Arena”. Sulle pagine del quotidiano scaligero, finché ne fu il direttore, ricordò ogni 20 dicembre il sacrificio di Oberdan. La sua carriera giornalistica fu lunga ed intensa: corrispondente da Roma per l'”Adige”, il “Corriere della Sera”, la “Lombardia”, l'”Arena”, redattore della “Tribuna” di Roma e redattore capo e direttore della “Tribuna Illustrata”. Fu tra i fondatori della “Federazione della Stampa”, presidente del Sindacato fra corrispondenti di giornali, vicepresidente dell’Associazione della Stampa. Non dimenticò mai Trieste dove fece ritorno per qualche giorno dopo la fine delle Prima Guerra Mondiale. Morì a Roma il 21 ottobre 1921.