(b.g.) Oggi possiamo arrenderci un’altra volta, oppure possiamo costruire un altro pezzo di una casa comune europea che chiuda con più di un secolo di faide fra due popoli. Dipende da noi. Soprattutto, dipende da noi e da cosa si diranno davvero Sergio Mattarella e il Presidente sloveno, Borut Pahor oggi a Trieste. Insieme, deporranno una corona di fiori – con i colori delle bandiere dei due Stati – alla Foiba di Basovizza. Pahor sarà il primo presidente di una nazione nata dopo la disgregazione della Jugoslavia a rendere un omaggio alle vittime italiane della furia titina sul luogo del loro loro martirio.

Sarà un caso, ma da diversi mesi è in corso una campagna in Slovenia per la riscoperta delle foibe dove la canaglia titina ha gettato gli oppositori sloveni e croati al regime comunista a guerra finita. Secondo gesto, altrettanto importante e delicato: la cessione alla minoranza slovena del Narodni dom, la “casa degli Sloveni”, l’ex hotel Balkan, incendiato il 13 luglio del 1920, oggi nel patrimonio dell’Università giuliana.

Bisogna che questi passaggi – che vogliono iniziare a costruire una memoria condivisa rivolta al futuro – siano però suggellati da una ricostruzione seria e franca degli anni che hanno preceduto Basovizza. L’aggressione agli Italiani non inizia col boia Tito (domanda: vogliamo revocare le onorificenze italiane al dittatore jugoslavo e cambiare nome a tutte le vie e piazze a lui dedicate in Italia?), ma con Cecco Beppe. E’ l’imperatore d’Austria che ha “rubato” nel Congresso di Vienna 1813 la Serenissima a ordinare il 12 novembre 1866 la germanizzazione e slavizzazione del Sud Tirolo, della Dalmazia e del Litorale con l’ordine esplicito di annullare la presenza italiana e veneziana. Lì inizia la politica imperiale di favorire la comunità slava per mettere in riga quella italiana; lì la ragione dei progrom contro gli Italiani che chiedevano di mantenere la propria lingua nelle scuole come quello a Trieste del 13 luglio 1868. Pogrom, sì pogrom: caccia indiscriminata all’Italiano esattamente come in Ucraina e in Russia per eliminare le popolazioni ebraiche e rubare i loro averi.

E persino dopo la fine della Prima Guerra Mondiale la popolazione slava ha continuato ad aggredire gli Italiani e, non a caso, l’incendio del Narodni dom avvenne come ritorsione all‘assassinio ingiustificato di due marinai italiani avvenuto a Spalato: Tommaso Gulli e Aldo Rossi.

Le foibe, gli orrori dell’occupazione titina di Trieste e del nostro Litorale, l’esodo forzato della nostra gente, il linciaggio culturale degli esuli in Italia per molti anni…arriva tutto da lì .

E noi siamo senza colpe? Possiamo dire che la politica di italianizzazione forzata degli Sloveni fu una follia? che il campo di prigionia di Gonars ignobile e che nel corso della guerra in Jugoslavia non ci siamo tirati indietro nella gara a chi era più feroce?

Ecco se oggi, oltre a mettere corone di fiori, evitiamo però di prenderci colpe che non abbiamo, come se tutto fosse nato nel 1945 come “risposta all’ aggressione fascista” argomento che lava ogni coscienza e risolve ogni problema dell’Italia repubblicana . Qui gli aggrediti siamo noi, e dal 1866. E dobbiamo essere noi Italiani a comprenderlo per primi, se poi vogliamo trattare con Slovenia e Croazia il completamento di quei diritti agli Italiani esuli o che ancora vivono dall’altra parte del confine che noi già riconosciamo alla minoranza slovena, croata e sud-tirolese nel nostro Paese. Giulio Andreotti ad Osimo nel 1977 tradì più di mille anni di storia patria; speriamo che oggi Mattarella si dimostri più italiano di lui…