Nella giornata del warning del Fondo monetario internazionale all’Italia sul rischio fallimento per decine di migliaia di Pmi in un report che verrà discusso sabato dal G20 dei ministri delle Finanze e dai Governatori delle banche centrali, si consuma una clamorosa rottura fra Gianni Dal Moro e la sua maggioranza al momento di votare il DL Rilancio. Dal Moro si astiene in aula al momento del voto: troppa la distanza fra le necessità delle imprese e quanto, alla fine, il sistema ottiene. Ma Gianni Del Moro, del Pd, è il parlamentare che scrive e segue i decreti economici; nella vita “borghese” è un imprenditore che sta vivendo gli effetti del lockdown: sa quello che accade fra imprese e banche e fra imprese e fornitori. La sua astensione, insomma, è una di quelle che fanno rumore anche se per evitare di mettere in difficoltà la sua maggioranza Dal Moro non ha letto il sofferto intervento che aveva preparato e che ha consegnato agli Atti della Camera ed ha aspettato il voto del Senato per renderlo pubblico.
Punto del contendere, la mancanza di un closing certo sulle procedura d’accesso al credito agevolato per le imprese sino a 3,2 milioni di fatturato e l’assenza di misure per evitare la falcidia di chiusure dovute alla stesura del bilancio 2020: chi registrerà perdite sino a due terzi del capitale sociale dovrà intervenire col proprio patrimonio, oppure chiudere. Eppure, l’allarme del FMI è chiaro e chiede, nero su bianco, «un’ulteriore flessibilità politica» e «azioni» dai governi per garantire «una ripresa duratura e condivisa» come scrive la direttrice del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, sul Blog del Fmi. Invece, davanti ad una percentuale di fallimenti attesi che si avvicina al 20% quest’anno, il Governo sembra marciare spedito verso la “tempesta perfetta”.
Dal Moro è lapidario: «Spero si possa recuperare nei prossimi provvedimenti. Purtroppo è rimasta ancora lettera morta – a più di un mese dall’approvazione della legge – la possibilità per le imprese con un fatturato fino a 3.2 milioni di ottenere un finanziamento pari al 25% dello stesso loro fatturato potendolo restituire oltre 10 anni (fino ad un massimo di trenta) con la copertura delle garanzie pubbliche pari al 80% oltre ad eventuali interventi Confidi come approvato nel DL Liquidità. Le procedure rimangono lunghe, le responsabilità quasi intatte. Mi auguro che il MEF e il MedioCreditoCentrale diano quanto prima indicazioni precise alle banche. Le circolari ABI del 6 e 12 giugno sono troppo generiche e le banche rispondono che non sanno nulla. Ma se a settembre le PMI fino a 3,2 milioni di fatturato non avranno ricevuto sul conto corrente il finanziamento che gli è dovuto sarà un dramma, vero e reale. L’accesso al credito, in modo semplice e veloce, non solo rappresenta un elemento importante per la tenuta del sistema produttivo, ma rappresenta un elemento fondamentale per la tenuta delle democrazie».
Infatti non c’è soltanto la liquidità da sostenere. Ci sono da tenere lontane le mani della malavita dalle imprese. Continua Dal Moro: «C’è il tema della continuità aziendale che in parte abbiamo risolto, sterilizzando fino a settembre del 2021 l’obbligo di portare i libri in tribunale in caso di perdita superiore a 2/3 del capitale e senza la copertura dei soci, ma non è stato risolto il problema delle perdite civilistiche per le imprese nel periodo 2020 che rimarranno iscritte a bilancio. Quest’anno a causa della pandemia molte aziende avranno una perdita di almeno il 50% del loro fatturato, molte avranno un calo superiore. Secondo stime attendibili un milione di imprese (15% delle PMI) dovranno o coprire le perdite immettendo capitale fresco o portare i libri in tribunale o, ancor peggio, consegnarsi a chi bussando alle loro porte si proporrà di risolvere i loro problemi assicurando liquidità immediata di dubbia provenienza in cambio della cessione dell’attività. Evitare questo si poteva e si può ancora, consentendo alle imprese che le spese fisse di un’azienda possano essere ammortizzabili in più anni e non solo nell’anno 2020.
Il MEF dopo aver dato parere favorevole allo stesso emendamento nel DL Liquidità ha dato parere contrario nel DL Rilancio eccependo che secondo la Ragioneria questa norma avrebbe un costo per lo Stato di 1.700 milioni, mentre nel DL Liquidità la quantificazione della Ragioneria sullo stesso emendamento era stata di 5 milioni. Come si può passare da un calcolo di 5 milioni ad uno di 1700? Eppure, non ci voleva molto a capire che se le imprese chiuderanno i bilanci in forte perdita non pagheranno Ires e lo Stato non incasserà nulla. Ma se invece porteranno i libri in tribunale lo Stato dovrà farsi carico di costi sociali ed economici enormi perché circa 3 milioni di persone (media 3 dipendenti per impresa) perderanno il posto di lavoro oltre alle perdite per i fornitori coinvolti a catena». Sulla liquidità aziendale Dal Moro ha in calendario un ulteriore round negoziale con Abi e MedioCredito Centrale. E mai come oggi , la moral suasion del FMI può tornare utile per far uscire dal loro bunker dorato i banchieri e i tecnici del Governo.