(di Gianni De Paoli) Quanti ne incontro di miei coetanei che da giovani, anni ’60/’70, s’erano messi in testa di fare la rivoluzione e di cambiare il mondo! Poco importa se lo volevano fare da sinistra o da destra. Il mondo lo volevano cambiare davvero. Non ci sono riusciti. Né gli uni né gli altri. Ma ci credevano. E sta qui il valore delle loro scelte, di quello che hanno fatto, anche se inutilmente o quasi.
Quando li incontro, sono scazzati e delusi. Prevale sugli antichi sogni un senso di inadeguatezza all’oggi che suggerisce, se non la resa, l’accettazione di una realtà che non piace ma che comunque è. Anche se in fondo, sono ancora accesi i vecchi principi come braci sotto la cenere, residuo dei progetti bruciati. E’ da lì che si può ripartire.
Dagli ideali che possono ri-accendere una generazione che l’allungamento della vita media rende ancora fruibile. Compagni o camerati poco importa. Il miracolo di una nuova sintesi lo può fare solo la consapevolezza del nemico comune, che è il sistema dominato dagli interessi della finanza senza volto (nella foto, una vignetta dell’Ottocento sul dominio dei grandi complessi industriali sul Senato degli Stati Uniti) che ci ha sfilato la possibilità di decidere del futuro nostro e dei nostri figli. Il Grande Fratello è uscito dal libro di Orwell ed è diventato reale.
I giovani nati dopo la caduta del Muro non reagiscono. Ma noi che abbiamo creduto in qualcosa, foss’anche l’utopia comunista o quella della costruzione dell’uomo nuovo o la realizzazione sulla Terra della Civitas Dei, noi sì che abbiamo gli strumenti culturali per dire che non ci stiamo a perdere la libertà e il controllo del nostro futuro per lasciarlo nelle mani di un’oligarchia.
Se l’analisi è questa, il primo passo è già fatto. Il secondo è quello di mettere da parte i vecchi arnesi ideologici che hanno fatto godere il potere di allora contro gli opposti estremismi e trovare subito una base comune per intraprendere una grande battaglia per i nostri figli.