La crisi ha certamente impattato in modo robusto sul settore vitivinicolo italiano, con un fatturato che si prevede in calo del 30-35% nel 2020 ma che, vista la solidità delle aziende del comparto e la qualità del prodotto, potrà tornare a crescere già nel 2021.  Lo dice una ricerca Unicredit-Federvini, resa nota oggi. Basata su dati Cerved, la ricerca evidenzia come con oltre 13 miliardi, l’industria del vino contribuisce al fatturato totale del F&B per oltre il 10% ed è certamente uno dei settori di eccellenza del Made in Italy, regalando all’Italia molti primati. L’Italia è tra i primi produttori al mondo, il secondo esportatore in valore, dopo la Francia e soprattutto ha il numero maggiore di vini certificati (526, quasi 100 in più rispetto ai 435 della Francia), a conferma dell’enorme investimento in qualità che il Paese ha compiuto negli anni. 

Con riferimento al 2020, è attesa una flessione nettamente superiore a quella media attesa per il settore del F&B (3-6%). L’entità dell’impatto sarà tuttavia differenziata tra le diverse tipologie di vino e anche tra le imprese all’interno della stessa tipologia di prodotto. Due temi saranno centrali per la costruzione dei nuovi modelli di business e delle strategie su cui puntare per reagire alla crisi e cogliere le opportunità che anche questa crisi porterà con sé. Il primo è l’incertezza, un fattore che dominerà lo scenario di riferimento fino a quando non si tornerà a situazioni di normalità e del quale bisognerà tenere conto nel disegnare i piani aziendali. Il secondo tema è relativo ai canali di trasmissione tramite i quali l’emergenza sanitaria sta impattando sul settore, tenendo conto che la produzione vinicola attualmente si divide tra mercato domestico (45%) ed export (55%).

Il mercato interno è atteso in contrazione, a seguito delle gravi difficoltà dell’ho.re.ca (settore hotellerie-restaurant-caffè, che veicola il 42% delle vendite) e dell’enoturismo (che veicola una quota piccola delle vendite, ma ad alto margine). Anche la spesa delle famiglie è attesa in contrazione, a seguito della diminuzione del reddito disponibile e della conseguente ridefinizione delle priorità personali di acquisto a favore di beni ritenuti più essenziali. Elevati i rischi di cali delle vendite anche sui mercati esteri, a seguito del crollo della domanda globale e delle diverse velocità di ripresa di ciascun Paese. A livello mondiale, l’OIV stima una caduta delle vendite del 35% (-50% in valore). Per l’Italia, un fattore di amplificazione del rischio export è la forte concentrazione dei mercati di sbocco del settore. Oltre il 50% delle vendite oltre confine è concentrato in tre paesi: in particolare, si osserva che due di essi – Stati Uniti e Regno Unito – consumano vino principalmente tramite il canale ho.re.ca. 

L’impatto sarà molto differenziato. In generale, i rischi risultano più elevati per i vini di gamma medio-alta e alta – venduti soprattutto tramite il canale ho.re.ca e l’export. Tra le imprese, risulteranno invece meno esposte le imprese che dispongono di un portafoglio ampio di prodotti, che possono contare su più canali di vendita e molteplici canali di sbocco. Perché il settore tenga, è necessario che tutta la filiera tenga: dall’agricoltore al distributore che, in questo caso, significa soprattutto “ho.re.ca”. Quindi sicuramente garantire il rispetto dei tempi di pagamento dei fornitori lungo la filiera, ma anche attuare iniziative specifiche a sostegno degli anelli più deboli della filiera tramite collaborazioni alleanze, accordi, unioni. Le imprese grandi possono svolgere un ruolo importante per il rafforzamento della filiera nei loro territori di riferimento. Le difficoltà rafforzano inoltre la consapevolezza del ruolo strategico giocato dalle filiere di prossimità, anche per l’approvvigionamento, ad esempio,  di materiale necessario al confezionamento come vetri, etichette, cartoni. Diversificare prodotti, inoltre, mercati e canali di vendita diventa un must per ogni impresa.