Il grido d’allarme è dell’ex sindaco Flavio Tosi: alla prossima scadenza del 31 luglio il Comune di Verona, azionista di maggioranza di VeronaFiere, potrebbe non partecipare all’aumento di capitale approvato nel 2018 ma schedulato appena poche settimane fa. Un aumento da 30 milioni di € di cui ben 11.8 a carico di Palazzo Barbieri . Si tratta della quota più alta – il Comune ha il 39.66% delle azioni – precedendo i 7.25 milioni a carico della Fondazione CariVerona, i 3.9 milioni della Camera di commercio, i 2.132 di Cattolica e i 2.112 del banco BPM. 1,6 milioni dovrebbero arrivare da Veneto Agricoltura mentre spiccioli dalla Provincia, da Banca Intesa, dalla BCC di Concamarise e, dulcis in fundo, ben 48mila € dalla Regione Veneto.
Il Comune appena pochi giorni fa aveva annunciato di aver messo da parte 2 milioni degli avanzi della gestione 2019 (complessivamente 14 milioni, si veda l’articolo qui) proprio al fine di aderire all’aumento di capitale, ma ora – sostiene Flavio Tosi – all’appello non soltanto mancherebbero gli altri nove, ma anche una strategia per consentire l’ingresso di un partner-amico, in grado di sostenere VeronaFiere in un anno difficilissimo per la tenuta dei conti e per reggere all’assalto dei competitor. Spiega Tosi: « Se saltasse l’aumento di capitale sarebbe un grave danno di immagine all’esterno e si creerebbe un pericolo per la fiera, che senza un proprio piano industriale rischierebbe di subirne uno altrui in futuro, quindi di venire assorbita. Sappiamo e comprendiamo anche che l’aumento si basava su una valutazione della società a 116 milioni, oggi dopo il Covid non più realistica. Sboarina dovrebbe proseguire nel percorso che aveva avviato la mia Amministrazione: quella di un graduale allontanamento del Comune dal controllo della Fiera, in modo che la quota di maggioranza non sia più in mano al pubblico. Oggi il Comune controlla il 40% dell’ente, ma se vogliamo che la Fiera si sviluppi e resti sul mercato in un’epoca di globalizzazione dobbiamo arrivare ad una gestione di tipo privatistico, più snella, competitiva, ma ovviamente legata al territorio, quindi con il coinvolgimento di entità finanziarie istituzionali locali. Parallelamente bisogna decidere per tempo una strategia industriale e il piano di alleanze: o col sistema Fiera Bologna, Rimini e Vicenza, o con Milano. E nello stabilire le alleanze devi tutelarti con precise garanzie sui tuoi asset più prestigiosi, a partire dal Vinitaly».
L’aumento di capitale era stato deliberato il 14 febbraio scorso: offerte ai Soci 16.3 milioni di azioni del valore nominale di 1€ più un sovrapprezzo di 0.83357€ . I soci hanno diritto sino a fine mese per esercitare il loro diritto di opzione; chi lo eserciterà nel tempo previsto avrà diritto di prelazione dell’inoptato.
L’aumento di capitale è destinato a funzionare come boost per il piano industriale sino al 2022: 105 milioni di euro destinati alla digital transformation e internazionalizzazione; rigenerazione delle infrastrutture del quartiere espositivo per renderlo tra i più moderni d’Europa; lancio di nuovi prodotti nei segmenti agri-food, wine e marmo; potenziamento dei servizi a valore aggiunto nel campo digitale, degli allestimenti e della ristorazione.
Se il Comune non aderirà integralmente servirà un aiuto da altri soci scaligeri: Fondazione CariVerona potrebbe essere quello più in carta, anche se i rapporti col Sindaco non sono al massimo storico; ci sarebbe poi la Camera di commercio ed il Banco BPM. Più delicata la posizione di Cattolica alle prese con la rivolta dei piccoli azionisti, l’assemblea straordinaria dei soci fra poco più di dieci giorni e la necessità di operare nella massima trasparenza col nuovo socio di riferimento, le Generali. Potrebbe essere non di facile soluzione, cambierebbero ovviamente anche i pesi dei singoli azionisti, sperando di tenere tutto in casa. Anche soltanto immaginare di vedere un altro ente fieristico arrivare nell’azionariato scaligero potrebbe scatenare un nuovo piccolo Vietnam in città…