(di Zeno Brasiliani) Troppo bello per una città come la nostra avere due grandi squadre: l’Hellas e il Chievo. Eppure Verona c’era riuscita. Avevamo vinto con l’Hellas lo scudetto nel 1985, un impresa irripetibile. Poi un altro miracolo: il Chievo, la squadra di una frazione, che ha scalato tutti i campionati ed è arrivata in serie A, dov’è rimasta per 17 anni. Verona, è stata l’unica città ad avere due squadre in serie A oltre a Roma, Milano, Torino e Genova.
Il calcio può piacere o non piacere, ma bisogna riconoscere che è un fenomeno sociale e di cultura popolare che va oltre il gioco o lo sport in sé e che coinvolge, direttamente e indirettamente, milioni di persone, grandi interessi economici e dà lavoro a centinaia di migliaia di persone. E per Verona avere due società iscritte alternativamente o contemporaneamente ai campionati di serie A e serie B significa un importante ritorno economico e d’immagine.
L’Hellas dopo un periodo buio è tornato grande, sta disputando un brillante campionato in A e rischia di accedere alle coppe europee. Il Chievo, dopo una brutta vicissitudine di carattere finanziario nel 2018 lo scorso anno è retrocesso in B. Si sperava fosse una parentesi e che tornasse subito in A, ma ha fatto un campionato deludente con una squadra mediocre e tutto fa pensare che rimarrà in B. Niente di male se in questo non si leggesse la fine della “favola Chievo” come veniva definita con simpatia la squadra dei “mussi volanti” dagli osservatori sportivi nazionali. Una fine iniziata con l’uscita dalla società del suo più importante protagonista: Giovanni Sartori. Esserselo lasciato scappare (andato all’Atalanta, ne ha fatto un altro miracolo) non è stato solo un errore gravissimo. E’ stato la fine della favola.