(di Gianni De Paoli) E’ oggi la scadenza del pagamento dell’Irpef, Ires e cedolare secca. Il governo Conte per venire incontro alle esigenze dei cittadini l’ha spostata nientemeno che dal 30 giugno al 20 luglio. Sì, proprio così. Non è uno scherzo! E così oggi milioni di partite Iva dovranno versare allo stato una buona parte dei propri guadagni, con aliquote che sfiorano anche il 50%. Facendo, tra l’altro, incazzare per ovvie ragioni tutti i commercialisti che stanno meditando di fare uno sciopero.
Lo spostamento della scadenza di venti giorni è una presa in giro. Che cosa vuoi che cambi pagare le tasse venti giorni prima o venti giorni dopo? Niente. Uno slittamento ridicolo rispetto al danno economico che il lock-down ha rappresentato per i lavoratori autonomi. Di fronte alla chiusura di due mesi per moltissime attività professionali, commerciali, artigianali c’era da aspettarsi una maggior comprensione ed elasticità da parte del governo. C’era da aspettarsi lo slittamento almeno di alcuni mesi, se non addirittura un parziale azzeramento per tener conto dei mancati introiti dei mesi della chiusura. C’era da aspettarsi che in un paese normale con un governo serio si tenesse conto del fatto che anche quelle attività che hanno ripreso a lavorare dopo la chiusura forzata hanno lavorato di meno, poco o anche niente. E invece no. Bisogna pagare subito.
E suona addirittura offensivo e vessatorio se si pensa che oggi si deve versare anche l’acconto su quello che non si guadagnerà nell’anno in corso. Ma in che paese viviamo?
Se qualcuno aveva dei dubbi è servito. Quando il governo di un paese non è espressione della maggioranza dei cittadini, ma è un’accozzaglia di interessi tenuta artificialmente in vita per non fare le elezioni, succede anche questo.