Ma guarda un po’: l’aeroporto di Treviso non riaprirà a ottobre come si aspettavano i 500 dipendenti. La situazione del trasporto aereo, messo al tappeto dalla pandemia, non lo consente. Se ne riparlerà a marzo. Virus permettendo. D’altra parte il Marco Polo è lì a due passi e siccome anche Treviso fa parte del gruppo veneziano Save, è Venezia a decidere. E fra va da sé che la casa-madre e anche la città più importante abbiano la precedenza. D’altra parte il Canova, quello che una volta era l’aeroporto di Istrana, è cresciuto all’ombra del Marco Polo. Quindi la scelta di chiuderlo era in qualche modo nell’ordine delle cose.
Diversa la situazione per l’aeroporto di Verona, nato e cresciuto in autonomia, con prospettive ed aree di utenza completamente diverse. Il Catullo dopo il lock-down, per riaprire ha riaperto. E ci sarebbe mancata anche quella! Ma come ha aperto? Sempre più dimesso e dismesso, fatiscente e bisognoso di investimenti, con voli senza importanza, da aeroporto di periferia.
Eppure il suo bacino d’utenza garantirebbe ben altro ruolo, ben altra movimentazione. Se ci aggiungiamo Brescia Montichiari, a vocazione cargo, i due scali potrebbero rappresentare un potenziale hub europeo senza concorrenti. Bergamo, nato e cresciuto dopo Villafranca, ha già raggiunto e superato il massimo con 12 milioni di passeggeri l’anno. Venezia ha il suo giro ed è inespandibile. V
erona potrebbe diventare il riferimento aeroportuale di Vicenza, Mantova, Rovigo, Trento, Bolzano e Brescia, un bacino di 5 o 6 milioni di abitanti, cui s’aggiungerebbe lo scalo merci di Montichiari, in posizione strategica per drenare tutto il traffico industriale di una delle più importanti aree produttive d’Europa. Ma ci vorrebbe la volontà politica e gli investimenti. Ma la prima manca e gli investitori ci sarebbero. Ma se i soci pubblici non alzano la testa e stanno appecoronati ai voleri della Save, l’aeroporto sarà destinato a fare la fine di Treviso.