Il 15 settembre scade il termine per presentare le domande per essere inseriti nell’elenco di chi ha i titoli per fare il direttore generale delle aziende sanitarie. Oggi in Veneto fra Unità Locali Socio Sanitarie, le Aziende Ospedaliere di Verona e di Padova, l’Istituto Oncologico Veneto e Azienda Zero, che coordina tutta l’organizzazione sanitaria, sono nove. Fino al 2016, quando per eliminare un po’ di burocrazia venne istituita l’USL unica provinciale, erano 23.
A capo di ciascuna c’è un direttore generale nominato da Zaia, affiancato da un direttore amministrativo, da uno sanitario e da uno del “sociale“.
Il direttore generale è un autocrate che risponde al Presidente della Regione e gestisce risorse ingenti. La sua principale preoccupazione è di far quadrare il bilancio. Più il DG fa risparmiare, più è bravo, perché anche se il Veneto è una delle migliori regioni per l’assistenza sanitaria, le prestazioni sono pur sempre vincolate ai trasferimenti dallo stato. Trasferimenti che negli ultimi anni sono stati progressivamente ridotti fino a raggiungere il modestissimo rapporti deficit/Pil del 6%, la metà di quello tedesco.
Ed essendo quindi bilancio il metro della sanità italiana è normale che il DG ce l’abbia in testa ai suoi pensieri, sicuramente più delle liste d’attesa, perché è sul bilancio che verrà valutato e non su quanto tempo ci vuole per fare una mammografia.
A questo punterò viene da farsi una domanda: ma è giusta questa forma di governance per la sanità veneta? Perché, come accade in qualunque azienda, pubblica o privata che sia, non affiancargli un consiglio d’amministrazione o, se si preferisce, un consiglio di indirizzo composto da rappresentanti del territorio che bilancino il suo interesse al bilancio con le esigenze degli utenti?