(di Francesco Attolini)  Cattolica si prepara al suo Armageddon, il giorno della resa dei conti. Notizie ne girano tante, di fonti molto inserite e attendibili. Però i discorsi finiscono con un’alzata di spalle, le braccia spalancate e un rotondo “Boh”. E il boh in questo caso vuol dire “sono confuso e non ho idea di come finirà”. Nei suoi 124 anni la compagnia non ha mai vissuto periodi così conflittuali, caotici e incomprensibili. Ora, dopo tante scaramucce di frontiera, siamo alla battaglia finale. Tra poco più di una settimana i vertici e gli azionisti saliranno su un ring virtuale per decidere se diventare una SpA, farsi digerire da Generali o andare avanti come cooperativa cercando un “cavaliere bianco” ben dotato, o 500 milioni di corsa per aumentare il capitale come intimato dalla vigilanza.

E non sono voci: rimbalzano notizie, dati, fatti, retroscena, incontri neanche tanto clandestini tra tutte le pedine sulla scacchiera. Ma se è relativamente agevole ricostruire le tappe (come siamo arrivati a questo casino), invece se si chiede “adesso cosa succede?” la risposta rimane desolatamente “Boh”. Ma il riserbo formale tipico dei business di questa portata (soprattutto tra società quotate) cede di fronte a una gran voglia di parlare: siamo a questo punto, è la sintesi, “perché si doveva agire prima”. Prima di cosa? Prima di offrire il fianco all’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni che è intervenuto in modo secondo alcuni “impositivo, ricattatorio e autoritario”.

Il riferimento è al segretario generale De Polis, per 35 anni efficace “mastino” di Bankitalia, dove vigilava sugli intrecci del credito. Ma non è colpa sua se Cattolica è rimasta sorda alle ripetute rihieste di Ivass di dare una sistemata alle proprie magagne: non sulle attività industriali, ma su una certa debolezza dei ratio patrimoniali. Le richieste di migliorare gli indici di capitale, oppure di dotarsi di un cda più qualificato (l’attuale è considerato debole e mediamente inesperto di assicurazioni) e sulla scarsa trasparenza di governance sono state fatte cadere nel vuoto. È stato questo combinato disposto, ancor prima della solvibilità leggermente sotto la media e partite di bancassicurazione spesso meno redditizie del previsto, ad offrire il destro a Ivass di tracciare una riga per terra e dire basta. Così si è arrivati al punto di non ritorno.

Cosa poteva fare Cattolica? Cominciare a ragionare sulla trasformazione in SpA, ad esempio. Un’operazione difficile e per molti versi contro natura, che andava affrontata in un’ottica adulta e non con pregiudizi ideologici. Ma quel dossier non è mai stato davvero aperto e poi è diventato un macigno con il dirompente caso Minali. Aver messo alla porta dalla sera alla mattina l’ad ha aperto una ferita mai rimarginata e allarmato le autorità di controllo. Anche perché a Minali tutti hanno riconosciuto competenza e visione: basti dire che il Governo lo voleva al vertice di MontePaschi e ha dovuto rinunciare perché a sinistra è giudicato troppo indipendente per gestire una banca “di famiglia”.

Quindi abbiamo un AD capace e deciso e un CDA debole e inesperto. È finita come sempre: ha prevalso la linea del presidente. Chi parla non ha dubbi. A Bedoni per onestà e completezza va riconosciuto di aver salvato l’autonomia di Cattolica dagli appetiti della spagnola Mapfre: ma è troppo forte. Di fatto ha in mano i consiglieri ed esercita il potere con quella che viene definita senza mezzi termini “efficace demagogia e populismo cooperativistico: è un autentico genio del marketing politico e del consenso”. In questo contesto la situazione è diventata progressivamente ingovernabile, tanto da mandare Cattolica all’angolo e rendere evidente che la compagnia non sarebbe riuscita a raccogliere il capitale richiesto senza trasformarsi in SpA. In pratica game over anche per la presidenza Bedoni.

Fin qui la malattia. E la cura? Un medico onesto la definirebbe solo palliativa. Versione breve e impietosa: Così come si sta mettendo, Generali segnerà la fine di Cattolica, che in pochi anni sarà inglobata e digerita, come successo a ben altri bocconi. I numeri rendono ancor più visibile la misura del potenziale disastro. Prepariamoci a dire addio a buona parte delle circa 1400 agenzie con l’angelo. Forse si salveranno le agenzie più grandi, da 30 a 50 al massimo in tutta Italia, di cui una decina nel bacino storico del Veronese. Anzi, le big potrebbero addirittura stare meglio con le Generali, mentre le altre, appena deglutite nella pancia del Leone, dovranno a confrontare una raccolta media di 1,8 milioni contro i 4-5 milioni delle agenzie triestine. Eppure il Gruppo agenti di Cattolica ha benedetto l’ipotesi che li condanna a sparire.

Ma un futuro ancora più difficile lo temono i dipendenti. Se l’incorporazione dovesse andare avanti (ed è difficile dubitarne) quanti manterranno il lavoro degli attuali circa 1800 addetti? Il depotenziamento è una certezza, al punto che “potrebbero bastare poche decine di impiegati per la gestione dei rami d’azienda che dovrebbero rimanere a Cattolica”. Cioè che non saranno fatti gestire direttamente a Generali. Per Verona l’ennesimo schiaffo e un grave danno economico.

Il destino di Cattolica sembra una strada segnata. È davvero così? Vediamo. Se il Tribunale di Venezia accogliesse il ricorso dei piccoli azionisti che hanno impugnato l’assemblea del 27 giugno, si aprirebbe una stagione di ulteriore instabilità. Cattolica potrebbe restare da sola? Al momento pare non averne la forza, ma potrebbero emergere progetti per finanziare una ripartenza.

Non va per ora trascurata nemmeno l’ipotesi di tenere aperta una trattativa con Vittoria Assicurazioni, che potrebbe non dispiacere ai soci di Cattolica. La compagnia torinese non ha tutto il capitale necessario a coprire l’aumento di capitale, e quindi dovrebbe trovare un alleato, probabilmente dalla finanza. Un ipotetico “cavaliere bianco” che non avrebbe alcun interesse a gestire il core business assicurativo, ma vorrebbe solo guadagnarci. Vittoria potrebbe in sostanza portare a Cattolica una dote un po’ meno ricca, ma un progetto interessante per la crescita di entrambe e per il mercato, il che aiuterebbe a spingendo il titolo da sempre depresso. Ma questa è ancora fantascienza.

Intanto l’assemblea del 31 luglio si avvicina. Da un lato il presidente che avrà sicuramente già impostato una strategia morbida e avvolgente per dribblare i problemi. Dall’altra, riuniti nella nuova associazione “Casa Cattolica”, i piccoli azionisti, finora indeboliti dalle divisioni e dalla tendenza ad accontentarsi di una rappresentanza di facciata e di qualche ricompensa. In situazioni simili (e meno gravi) in passato hanno sempre ceduto, contribuendo così a rafforzare il sistema di potere dell’attuale vertice nonostante i continui conflitti.

Quindi? “Boh”, appunto. Sotto Cattolica non passa solo l’Adige, ma anche un fiume invisibile di potere locale. Meglio: il poco che resta del vecchio potere, perché di quello nuovo si parla tanto ma forse nemmeno esiste. Ecco perché chi tiene all’economia locale ogni mattina, oltre a dare il buongiorno ai propri cari, dovrebbe anche suonare la sveglia a Verona.