(di Giulio Bendfeldt) Ad una settimana dall’assemblea straordinaria per il passaggio in Spa di Cattolica Assicurazioni – nel grafico l’andamento in Borsa negli ultimi tre anni – il tempo delle galanterie è finito ed i pretendenti hanno indossato i guantoni da boxe. Ieri, la Compagnia aveva sottolineato come il fronte dei piccoli azionisti – raccolti in Casa Cattolica – fosse composto da 34 Soci (pari allo 0,18% del totale dei Soci al 13/07/2020), i quali dichiarano un possesso di complessive n. 54.418 azioni (pari allo 0,03%). “Ragazzi, state disturbando il conducente, fatevi da parte“: detto in altre parole. Come ad intendere che il resto dell’azionariato fosse tranquillamente già schierato con l’operazione di aumento di capitale dedicato a Generali approvato il 27 giugno scorso.
Troppo sprezzante da mandar giù, ed infatti i “piccoli” oggi hanno mostrato i loro dati: ovvero che nell’assemblea il via libera all’ingresso del Leone sia stato dato solamente da 988 soci su 18 600, pari al 5,31%; fra l’altro, dichiarano, i soci di Cattolica Assicurazioni che hanno votato a favore dell’aumento di capitale «non erano ancora a conoscenza del fatto che la compagnia, in seguito a quel voto, avrebbe rischiato di essere svenduta a Generali». Il 28 luglio scadranno i termini delle operazioni di voto in vista dell’assemblea di fine mese per la trasformazione in Spa e la polemica si fa sempre più calda e diretta. Ad esempio, la presidente del Patto Paola Boscaini commenta: «Trovo poco etico aver riportato nel nuovo statuto in votazione il 31 luglio parte degli accordi con Generali senza che i soci ne fossero informati. In particolare, se un player acquisisse, prima di aprile 2021, il 20,01% delle azioni, come si distribuirebbero gli incarichi in Consiglio e le presidenze dei Comitati di gestione e di remunerazione?».
Un tema, quello dei compensi, che agita ancora di più il dibattito: ieri è uscito un confronto fra la remunerazione dei due presidenti, di Generali e di Cattolica, e del loro peso percentuale sugli utili: a Trieste con 2,9 miliardi€ di utile consolidato il presidente pesa per lo 0.04% con un compenso di 1.076 milioni€; in Cattolica, a fronte di utili per 103 milioni, il peso del compenso salirebbe all’1.1%. Certo il Leone quota per 61 milioni di clienti contro meno di quattro, 68 miliardi di premi raccolti contro i 6.8 della compagnia scaligera, e quindi a parità di compenso il peso sugli utili cala, ma resta una cifra che alimenta polemiche specie se inserita in un costo globale del top management che vedrebbe Verona spendere fra i 50 ed i 60 milioni l’anno, come sostiene il candidato della lista 2 al Cda, Michele Giangrande.
Intanto, sarebbero già tre le soluzioni sul tavolo di Casa Cattolica di partner finanziari per sostenere il piano di sviluppo, denominato “Cattolica 1896” firmato da un ex CFO di una primaria compagnia italiana, resta però il problema del timing dell’aumento di capitale molto stretto per mettere sul tavolo i 500 milioni richiesti dall’Ivass nel caso saltasse l’operazione Generali e si arrivasse quindi ad un commissariamento della compagnia: una vera e propria spada di Damocle. Sul fronte politico, Casa Cattolica registra oggi l’endorsement del candidato del centrosinistra alle Regionali, Arturo Lorenzoni, e di Michele Croce, già presidente di Agsm.