(di Bulldog) Nei giorni scorsi mi è arrivata via email la pubblicità di una società specializzata nel seguire le pratiche per l’ingresso nel Canada. Il Paese nordamericano – secondo Stato per estensione al mondo dopo la Russia – ha appena 37 milioni di abitanti e quindi si pone il problema di costruirsi un futuro nella maniera meno costosa grazie ai tanti che non sono soddisfatti del loro Paese d’origine. Non ho resistito: ho compilato il modulo e mi sono iscritto. Cosa mi hanno chiesto? nazionalità, età, professione, specializzazioni e conoscenze particolari, composizione del mio stato di famiglia, quanti dollari Usa ero intenzionato a portare con me. Si può scegliere la Visa più adatta alle proprie esigenze – vacanza, studio, lavoro a termine, trasferimento definitivo, pensionamento – e bisogna sottoporsi ad un colloquio. Indicando la propria competenza linguistica si può fare il colloquio in inglese, in francese e persino nella lingua madre.
Allora, cosa chiede il Canada? Già che c’ero, oltre a fare i fatti miei, mi sono informato per tutti. Giovani, laureati, meglio se in discipline scientifiche, ancora meglio se intenzionati a sviluppare un proprio progetto imprenditoriale. Ma vanno bene anche figure meno sofisticate e, soprattutto, van bene anche i pensionati che portano capitali freschi da spendere. Scartoffie fatte, fra una settimana il responso. A gestire la pratica una società privata specializzata che cura i miei interessi nel rispetto della non semplice legislazione canadese: tutti garantiti, tutti soddisfatti. Se il governo canadese mi troverà un soggetto interessante per la crescita del Paese, mi arriverà il visto a casa e potrò iniziare ad organizzare il mio viaggio.
Ci avevo provato anche con l’Australia: una delle prime cose che mi avevano fatto leggere era un manuale di usi e costumi australiani in cui mi si spiegava, in italiano, che non erano ben visti chi sputava per terra; chi parlava a voce troppo alta durante i barbecue; chi travisava la cordialità delle ragazze come avance sessuali e chi si impicciava troppo della religione altrui cercando di imporre i propri usi e costumi. Così è l’Australia, se non siete d’accordo con le nostre regole statevene pure a casa vostra. L’Australia è famosa anche per la regola semplice che applica per l’immigrazione: si entra soltanto attraverso un canale ufficiale, altrimenti l’espulsione è immediata. Ma non si viene espulsi da una città, ma direttamente da un isola-confino dove si viene immediatamente relegati senza possibilità alcuna di rovinare la giornata ai tranquilli Aussie. Anglosassoni, pragmatici, Canadesi e Australiani non vogliono il caos ai confini.
Contemporaneamente alle mie ricerche, guardavo gli ultimi sbarchi a Lampedusa. Chi per i fatti propri, chi grazie al recupero di Guarda costiera, mercantili e ONG. Tutti senza punto di approdo certo in Europa, tutti senza un capitale per sopravvivere alle prime necessità, quasi tutti senza formazione professionale, tutti alla ventura, quasi tutti maschi senza famiglia con sé. Confidano in una sanatoria, nell’andare a vivere ai margini delle nostre città recuperando qualcosa o trafficando in qualcosa. Messi ai margini diventeranno facile preda del traffico sessuale, di quello della droga, dello sfruttamento lavorativo, del radicalismo religioso.
Possiamo dirci la verità: noi non li vogliamo; l’Europa non sa che farsene di loro; loro non ci garantiscono le competenze che ci mancano; loro non vedono l’Italia come la terra del loro futuro, ma soltanto come un passaggio, un posto da sfruttare per un po’ e poi andarsene; sono convinto che molti di loro disprezzino la nostra cultura e i nostri costumi…questa immigrazione non è utile né a loro né a noi. E sono loro quelli che ci rimettono di più. Gli unici a guadagnarci sono i trafficanti e i preti di più religioni. Chi ha a cuore queste persone deve porsi il problema di una immigrazione regolata, che tuteli chi sceglie di vivere da noi, dia loro una chance effettiva e non la schiavitù. Lassismo, buonismo, approssimazione italiana, inefficienza dello Stato sono vie lastricate verso l’infermo. L’Italia blocchi questo casino che dura da troppi anni e vari una normativa sul modello canadese o australiano e cerchi nel mondo chi può aiutarci a crescere. Per il bene loro – in primis – e nostro. Diamo a queste persone una chance vera. Questo laissez-faire produrrà soltanto disgrazie.