Il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, ha lanciato un campanello d’allarme molto grave ieri a Tunisi: il paese è attraversato da una grave crisi economica che spinge sempre più tunisini a scappare al nord, cercando fortuna o sussidi dall’altra parte del Mediterraneo. Circa 10mila persone attendono l’onda giusta, il mare come una tavola, per affrontare con dei barchini la traversata, arrivare a Lampedusa e da lì in Europa. Lamorgese ha evidenziato letteralmente: «Si tratta di flussi incontrollati che creano seri problemi legati alla sicurezza sanitaria nazionale che si riverberano inevitabilmente sulle comunità locali interessate dai centri di accoglienza, dai quali, tra l’altro, i migranti tunisini in particolare cercano di allontanarsi in ogni modo prima del termine del periodo di quarantena obbligatorio». Sottolinea il Corriere della Sera: su 12.228 migranti approdati sulle nostre coste fino a ieri, circa 9.500 sono giunti grazie agli «sbarchi autonomi» e molti di loro sono poi riusciti a far perdere le proprie tracce, eludendo i controlli e dunque anche l’isolamento imposto dal pericolo di contagio da coronavirus. È questo l’aspetto più grave che sta causando una vera e propria emergenza.
Infatti, c’è il Covid-19: i dati degli ultimi giorni sui contagi confermano che molti focolai sono nati tra le comunità straniere e per questo si è deciso di intensificare la vigilanza in modo da garantire che chi entra nel nostro Paese rispetti i 14 giorni di isolamento obbligatorio. Per risolvere il problema verrà affittata un’altra nave, da mille posti, per far fare la quarantina agli immigrati irregolari. Altre navi, altri progetti, altri costi, altri soldi buttati via…
E’ evidente che così facendo il problema dell’immigrazione irregolare non verrà mai risolto: la Tunisia non è uno Stato in guerra, non è messo peggio di altri per ricchezze naturali e qualità del suo tessuto economico, anche se come tutti gli Stati rivieraschi paga le conseguenze del blocco del turismo. Ma può contare su una ricca agricoltura e su fonti energetiche. Se vogliamo che dalla Tunisia si fermino gli arrivi irregolari basta che l’Unione europea scenda a Tunisi (l’Unione non l’Italia) e apra il portafoglio comprando derrate alimentari (promuovendo, ad esempio, un piano per il biologico che è ad alto valore aggiunto) , finanziando l’autoimprenditorialità, un piano di risanamento delle periferie, lo sviluppo di infrastrutture, la transizione energetica, la cultura ecc. I giovani tunisini lavoreranno a casa propria e potranno costruirsi un futuro decoroso senza finire in mezzo ad una strada. La Tunisia – come tutta la fascia dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo – ha un enorme potenziale e può replicare senza grossi sforzi il successo economico del Marocco.
Svuotarla dei suoi giovani non è il modo più giusto per aiutarla a costruirsi un futuro.
E’ evidente che non si può spendere su entrambi i lati della barricata: va bloccato il flusso irregolare e i soldi che si risparmiano in falsa accoglienza in Europa vanno investiti direttamente in quei Paesi. Ma per costringere anche quei Governi a spendere bene – col controllo sì di qualche bravo burocrate olandese – bisogna che siano “forzati” a risolvere in casa il problema. E non lo saranno mai, se continueremo col laissez-faire e a recuperare in mare la loro gente. Il blocco delle nostre frontiere è la premessa indispensabile per una politica di aiuti veri ai giovani del Sud del Mediterraneo. Altrimenti sono soltanto chiacchiere che alimenteranno delusioni e rabbia. Su entrambi i lati dello stagno…