Quando nel 2016 Renzi propose il referendum per abolire il Senato molti caddero nel tranello. Anche chi non era di sinistra aveva pensato che la sua fosse una buona riforma, non cogliendo il reale significato politico dell’operazione: quello di consegnare l’Italia al chiacchierone toscano. Per fortuna le cose gli andarono male. Subì una sonora sconfitta, il suo governo crollò e le sue smodate ambizioni vennero ridimensionate. E adesso Renzi è ridotto al 2%.

Oggi accade qualcosa di simile. Ancora con un referendum, stavolta per diminuire il numero dei parlamentari. Anche oggi c’è chi, martellato dalla demagogia grillina che ne fa una bandiera, è convinto che i problemi dell’Italia si possano risolvere, anche in parte, con il taglio di trecento parlamentari. Anche stavolta non colgono il reale significato dell’operazione che è un altro passo nella demolizione della democrazia ad opera dei potentati finanziari. 

Se si pensa a quanto è stato perso in termini di sovranità, rappresentanza e partecipazione popolare da tangentopoli in poi c’è da rabbrividire. I partiti, essenziali nella democrazia rappresentativa, cinghia di trasmissione fra popolo e istituzioni, sono stati distrutti. Gli elettori non possono più decidere con la preferenza chi li va a rappresentare a Roma. E’ da Monti che non abbiamo un capo del governo eletto. I risparmi che si farebbero sforbiciando la democrazia sono ridicoli. Col taglio dei parlamentari si risparmierebbe appena un centinaio di milioni quando il debito è di 2.500 miliardi! 

Ma il referendum ha anche un’altra valenza. Quella di sancire la fine del grillismo, quel disgraziato fenomeno che ha portato al governo del paese, in nome della più smaccata demagogia, dei nullafacenti e incompetenti nelle mani di un guitto e di un privato cittadino. Votare no significa chiudere definitivamente con la disastrosa esperienza di Conte, Di Maio, Grillo e compagni. Un’occasione che non si ripeterà.