Alberto Bauli se n’è andato ieri, alla soglia degli 80 anni (li avrebbe compiuti il 5 settembre) con la discrezione che erano la sua firma e il suo stile, con una riservatezza e una ritrosia a esporsi cui la Verona economica era abituata. Ma chi lo conosceva bene non ha mai commesso l’errore di ritenerlo una figura di sfondo, anzi. Ha svolto a lungo un ruolo operativo, come presidente, nel gruppo dolciario di famiglia, contribuendo al suo sviluppo e all’innovazione: prima accanto al fratello Adriano e poi con il nipote Michele, oggi presidente esecutivo della Bauli e presidente di Confindustria Verona.

Un’altra lunga stagione di impegno nell’economia che conta Alberto Bauli l’ha vissuta nella finanza locale, attraversando gli alti e bassi (e qualche inevitabile polemica) ai vertici del principale istituto di credito cittadino: presidente della Banca Popolare di Verona e quindi come consigliere del CdA e vicepresidente del Banco dopo la fusione con Novara, un percorso sfociato nel contrastato e in apparenza ineluttabile matrimonio con la Banca Popolare di Milano.

Non c’è dubbio che i terremoti bancari gli abbiano dato più preoccupazioni e meno soddisfazioni della costante crescita del gruppo Bauli, e i numeri sono lì a confermarlo. Il bilancio 2018-2019 si è infatti chiuso con un fatturato che ha sfiorato il mezzo miliardo di euro, in aumento di 16,7 milioni sull’anno prima e con un utile netto salito del 7,2%. Il gruppo dolciario veronese è il leader nel segmento delle ricorrenze, con quasi il 40% del mercato nei prodotti natalizi con il proprio brand in aggiunta ad Alemagna e Motta, mentre cresce anche il mercato dei prodotti continuativi Bauli, Motta, Doria e Bistefani. Ma Verona e l’Italia non sono l’unico obiettivo: la società da tre anni ha uno stabilimento in India, fattura il 15% in oltre 100 Paesi e guarda con attenzione verso l’Asia.

Esponente di una famiglia che ha contribuito a rendere Verona ciò che è oggi, Alberto Bauli lascia come eredità la capacità di fare e costruire tipica della sua generazione. Una stagione (e grandi personaggi) che forse in anni recenti non hanno però saputo compiere un decisivo passo avanti: educare i nuovi vertici dell’economia, dell’impresa e della cultura sociale a progettare la Verona del futuro, quella capace di affrontare le difficili sfide di oggi e di domani.